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Bene, bravo, 7+. Ma c’è altro, dopo Roger Federer

“Federer è tornato”; “Senza il Re non è tennis”; “Il Re è solo uno” e così via. Sono mesi, giorni in cui questi ed altri ritornelli rimbombano nelle orecchie di ogni appassionato di tennis e anche di chi, per puro fato, si imbatta in un sito o quotidiano che parli di racchette e palline. Vero, non si può non riconoscere la grandezza del tennista prima e del personaggio poi, fattori che mescolano record e personalità che sarebbe certamente errato non definire unici.
Parliamoci chiaro, quando Roger Federer calca un campo da tennis per chiunque si sia mai cimentato con una racchetta, anche alla stregua del famoso sketch fantozziano, la ragione non può non riconoscere l’eleganza e la fluidità dei suoi gesti, la perfezione tecnica e la correttezza sportiva del giocatore, priva di quegli eccessi “esalta folle” proprie di Nadal e Djokovic o dei continui lamenti di Murray.
Il cuore, però, ha le sue ragioni che la ragione non conosce, diceva un certo Blaise Pascal e il cuore, passando a Schopenhauer, è vittima della volontà e della passione, due elementi in cerca, quasi sempre, di novità.
Quindi, si chiederà il lettore? Quindi può capitare che per il cuore di un buon gruppo di appassionati questo grande ritorno di Federer sia in realtà solo una gran noia, un qualcosa che provoca più fastidio che fascino.

Perché se è vero che su questo lui, Roger, non può nulla, la sua schiera immensa di tifosi e i media, cui fa gioco parlare di ciò che le masse vogliono leggere, hanno la colpa aver trasformato il tennis in un qualcosa che riguarda solo Federer. E non è così. Una delle più belle caratteristiche di questo sport è sempre stata quella di non lasciarsi troppo trascinare dal tifo, ridurlo ai suoi minimi termini, per così dire. In altre parole, la simpatia per un giocatore è sempre esistita ma questo raramente ha portato ad oscurare le capacità o la grandezza degli avversari. C’è sempre stato molto rispetto nella contesa, una cavalleria all’antica, come il vecchio scriba Gianni Clerici ha sempre ricordato. Quindi cari media e tifosi di Federer provate a guardare una partita dell’attuale numero uno Andy Murray, o di Novak Djokovic o, spostandoci dalla vetta, di Dustin Brown e scoprirete, invece di affermare la solita litania della noia, che sono in grado di eseguire gesti tecnici di livello estremo, forse con uno stile differente, ma sempre di livello estremo si tratta. Andy Murray, ad esempio, è dotato di una sensibilità di mano da far invidia a chiunque e se dimenticate il bombardamento mediatico che avete subito dai cronisti che avevano negli occhi solo lo svizzero vi accorgerete che è in grado di trovare soluzioni che si allontanano molto dalla sua definizione di pallettaro.

Bisogna riconoscere che se lo stesso Federer negli anni ha dovuto lavorare sul suo gioco, migliorarlo. E questo perché ci sono giocatori che sono riusciti ad alzare il livello oltre il suo.
Come gioca il campione svizzero ormai lo sanno anche i muri, sempre affascinante per carità, ma in fondo il mondo è bello perché è vario e se si tolgono i paraocchi si può trovare tanto divertimento in tutto il resto del circuito, eliminando, per di più, il torto di sminuire il talento immenso che gli altri giocatori portano con sé.
Parliamo di tennis, non solo di Federer, per favore. Parliamo anche di lui, ma quando vincerà o perderà non come di una forma a priori che deve contenere e oscurare tutto il resto e auguriamoci che sia tornato davvero ad un buon livello (una buona esibizione a ritmo ridotto non basta). Perché guardate che il rischio è che il disco sia noioso, proprio come capita per molte rock band che dopo tempo tornano a incidere un album. Vogliamo parlare della differenza tra i Pink Floyd di Roger Waters e quelli senza?
Ricordiamoci quelli con Roger (ancora…) Waters ma, nel frattempo, ascoltiamo tanta altra buona musica, non dimenticando la grandezza ma evitando le inutili, sbiadite, ripetizioni.

Matteo De Laurentis

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Matteo De Laurentis

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