Il tennis è lo sport che più di tutti premia, prima ancora che il talento, la costanza. La classifica non mente mai, è questa la legge a cui tutti i tennisti devono sottostare, la massima tenuta a mente come un mantra.
Non mente quindi nemmeno su Lucas Pouille, che da febbraio ad oggi ha scalato la bellezza di 76 posizioni, chiudendo l’anno in quindicesima posizione. Questa risalita, oltre che portentosa, è da considerarsi del tutto inaspettata. Pouille non è mai stato troppo preso in considerazione dagli addetti ai lavori: una carriera grigia nel circuito “baby” e tre anni tutt’altro che memorabili non avevano convinto gli esperti a interessarsi troppo a quel ragazzo che alla meglio, pensavano, sarebbe arrivato in top-100.
Se all’alba del 2015 si cercava di individuare chi avrebbe preso sulle proprie spalle il peso del circuito ATP una volta tramontata l’era dei Fab Four, oggi i dubbi sulla “NextGen”, sembrano dissipati. Dominic Thiem e le sue sbracciate di rovescio a una mano sono difficili da ignorare e l’austriaco, vincendo tre titoli, è approdato nella top10 e ha giocato le sue prime Finals; Nick Kyrgios tra una dichiarazione scorata e l’altra è comunque nei primi 15 e dà la sensazione che le magagne siano solamente da attribuire alla scarsa tenuta mentale. Niente che il tempo non possa risolvere. L’esplosività e la sfrontatezza(o incoscienza?) sono il marchio di fabbrica del gigante di Canberra, lanciato a grande velocità verso la futura vetta del ranking mondiale.
Ma in quel 2015, mentre i suoi coetanei erano impegnati nelle tappe più prestigiose del circuito, magari non vincendo a mani basse ma essendo comunque dei temuti outsider, Pouille alternava discrete prestazioni in tornei ATP 250 e Challenger a deludenti eliminazioni al primo turno in occasioni di Master 1000 e (tutti gli) Slam. La sensazione era che il francese stesse facendo il passo più lungo della gamba avventurandosi in tornei, che il suo livello di gioco non sembrava permettergli.
A livello mediatico, Lucas non esisteva. Si parlava molto delle analogie tecniche tra i colpi a rimbalzo di Thiem e quelli di Stan Wawrinka, e delle similitudini nell’atteggiamento in campo tra Kyrgios e il primissimo Roger Federer. Erano loro i predestinati.
Lucas apre il 2016 bazzicando ancora nei tornei ATP 250, ma qualcosa sembra cambiato. L’atteggiamento in campo più aggressivo, intraprendente. Il rovescio giocato in anticipo lo mette in condizione di togliere un tempo di gioco all’avversario per poi poter spingere con il dritto, il suo colpo preferito. È a Miami che centra la prima vittoria in carriera su un top ten, avendo ragione di David Ferrer in tre combattutissimi set. Non si tratta di un episodio isolato e lo dimostra una settimana dopo a Montecarlo, sconfiggendo un altro top ten, Richard Gasquet. I punti si accumulano e il ranking, in silenzio, sale
La stagione sul rosso non ha finito di riservare sorprese al francese. Partecipa alle qualificazioni degli Internazionali d’Italia, ma perde contro Mikhail Kukushkin. Poco male, poiché da qualche parte sta scritto che Pouille non abbia ancora finito con Roma. Viene infatti ripescato come lucky loser ed entra nel main draw. Prima sconfigge in rimonta il solito Gulbis e poi si ripete contro David Ferrer, stavolta molto più nettamente. Lucas non solo gioca bene, ma ha anche dalla sua l’amore incondizionato del tabellone, grazie a Juan Monaco che prima fa fuori Wawrinka e poi si ritira. Lucas diventa “Lucky” e raggiunge la prima semifinale in un Master 1000, anche se sbatte contro Andy Murray. Ma la classifica ne prende atto portando il tennista di Grande-Synthe ad attirare le attenzioni anche dei più distratti. A WImbledon arriva il primo quarto di finale Slam, sconfiggendo tra gli altri Juan Martin del Potro e Bernard Tomic, che era avanti di un break al quinto.
Nonostante i risultati comincino ad arrivare Lucas non è però il predestinato ideale. Se a Kyrgios si perdona la supponenza nei momenti di rabbia e a Thiem la remissività nelle partite che contano, a lui non si fa passare il non aver centrato ancora una vittoria di grande spessore. Ferrer è finito, Gasquet non è mai cominciato, del Potro è in riallestimento, Tomic è Tomic. Serve una vittoria vera. Il momento arriva agli US Open, quando il francese sconfigge Rafael Nadal dopo cinque set di un tennis giocato a livelli incredibili di atletismo, colpi anticipati e martellate di servizio. È la vittoria più bella di Pouille finora, seguita dalla conquista del primo titolo ATP, a Metz e dal premio come “Most Improved Player”.
E ora? Cosa aspettarsi nel 2017 da Pouille?
Almeno un mantenimento del ranking conquistato e magari un occhio rivolto alla top ten. Difficilmente lo vedremo alzare uno dei quattro trofei più nobili della stagione, più alla sua portata è invece perfezionare il miglior risultato Slam, centrando una semifinale, magari sul cemento australiano o americano. Al momento, è ai blocchi di partenza più o meno allineato ai suoi due coetanei, Thiem e Kyrgios, e sarà interessante vedere chi troverà la forza e la voglia di scattare più veloce. Non è un predestinato Lucas e lo sa, ma non per questo non proverà a vincere. Ci proverà a modo suo, da non-destinato. E chissà, magari alla fine, Thiem e Kyrgios potrebbero non essere così lontani. In fondo, la classifica non mente mai.
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