“Ho deciso che è il mio momento per ritirarmi dal tennis”. Con queste parole comincia il discorso di addio di Ana Ivanovic, lei che assieme ad altri sportivi connazionali è diventata il simbolo di una nazione, la Serbia, giovane ma estremamente coraggiosa.
Una storia d’amore cominciata da piccolissima, ammirando Monica Seles in televisione. Durante le partite veniva mostrata la pubblicità di una scuola tennis nei dintorni di Belgrado. Ha forzato i suoi genitori al punto che, il giorno del suo quinto compleanno, il padre le regalò una racchetta ed un mese dopo era in campo a seguire la sua prima lezione.
Erano gli inizi degli anni ’90, un decennio in cui il suo paese sarebbe stato martoriato da un tremendo conflitto che fece migliaia di vittime e fu dilaniato anche da bombardamenti in diverse circostanze. Giorno dopo giorno, una guerra nata nell’intera penisola balcanica a seguito dei numerosi moti di ribellione e dei conflitti per l’indipendenza.
In quegli anni lei come i connazionali Novak Djokovic, Jelena Jankovic, Viktor Troicki, Janko Tipsarevic, Nenad Zimonjic (per citare solo alcuni tra gli attuali tennisti) avevano regimi di vita difficili, impossibilitati ad andare a scuola, costretti a scappare appena sentivano le sirene avvisare l’arrivo degli aerei pronti a sganciare bombe al suolo. Fu Djokovic a rivelare un particolare che poi è divenuto una delle ragioni per cui, ad oggi, così tanti tennisti serbi siano diventati famosi in entrambi i circuiti: “Ci facevamo forza a vicenda. Non avevamo modo di allenarci con continuità, le nostre famiglie erano sempre pronte a prenderci e portarci via dai campi, ma nella difficoltà ci siamo uniti ancor di più e siamo cresciuti meritando ogni singolo risultato”.
La stessa Ivanovic, nel 2007, parlava di quel periodo come il più difficile mai vissuto: “All’inizio non potevo allenarmi a causa dei bombardamenti, poi dopo qualche settimana ho cominciato ad arrivare al campo la mattina presto, il momento meno rischioso della giornata. Dovevo vivere come se tutto ciò attorno a me fosse normale, arrivare al campo alle 7 e giocare fino alle 9, poi fare un po’ di ginnastica nel tardo pomeriggio perché prima e dopo rischiavo di essere bersaglio delle bombe”. Così lei e gli altri serbi si allenavano all’interno di una palestra I proprietari avevano una piscina, ma durante l’inverno era molto costoso riscaldare il tutto, dunque decisero di svuotarla e dopo aver piazzato un tappeto all’interno ci fecero due campi da gioco. “Era l’unica opzione che avevamo durante l’inverno. Ricordo che la prima volta non potevo crederci: mi portarono lì dentro, vidi quella piscina e dissi “dunque esiste veramente?”.
Ivanovic fu tra gli atleti che diedero il via alla ribalta della Serbia nel mondo. La prima che portò la bandiera serba al n.1 del mondo nel tennis (9 giugno 2008, il giorno dopo il suo successo al Roland Garros) sia in campo maschile che femminile, la giocatrice che diede il via al “miracolo di Belgrado”: lei, seguita poi da Jankovic, Zimonjic e Djokovic, quattro atleti nati a Belgrado, tutti diventati n.1 al mondo nel giro di 4 anni, tra il 2008 ed 2011. Considerando poi anche l’approdo di Tipsarevic al n.8 e Troicki al n.12, il dettaglio diventa ancora più importante.
Una carriera, la sua, che ha avuto il picco nei primissimi anni: tra il 2007 ed il 2008 ha raggiunto tre finali Slam (due a Parigi ed una a Melbourne) più la semifinale a Wimbledon. In quel periodo capì che qualcosa nella sua vita era definitivamente cambiato, “già nel 2007 la gente mi fermava molto più spesso per la strada anche quando non mi trovavo in Serbia. In casa nostra eravamo molto popolari, abbiamo contribuito a rendere il tennis uno degli sport più importanti a livello nazionale, ma poi è cambiato tutto anche al di fuori”.
Per arrivare fin lassù, però, è stato vitale l’apporto di Dan Holzmann, il suo primo agente. Ana teneva tantissimo a questa persona, perché è arrivata tramite un caro amico del suo primo allenatore e fin da subito ha creduto fortemente in lei, tanto da proporle il primo contratto di sponsorizzazione al primo incontro: “Lui è come un amico ed io sono stata la sua prima giocatrice sotto contratto”. In Serbia sono tantissimi gli atleti con possibilità di avere successo ma pochissimi riuscivano davvero a sfondare, per via anche dei problemi relativi al percorso storico estremamente complicato. Ana era una di questi, sola a combattere contro tutti nella speranza che qualcuno potesse darle una mano. Anche per questo, Holzmann fu fondamentale e lei, immaginiamo, non smetterà mai di ringraziarlo. Ricorda ancora di quando al primo torneo dopo aver firmato il contratto non riuscì a giocare bene, perse e non voleva più uscire dallo spogliatoio per la vergogna, quasi come se avesse tradito la fiducia di chi le aveva teso la mano e quel giorno era lì per vederla giocare in un torneo per la prima volta.
Vincitrice di 15 tornei WTA in carriera, ebbe la maggior parte dei suoi successi nel periodo più importante, tra il 2006 ed il 2011. In ogni caso, non è stato mai semplice per lei. Diremmo forse “cocciuta”, Ivanovic aveva l’abitudine a scendere in campo anche quando i problemi fisici erano tanti e doveva prendersi una pausa. Mai una volta che si è sentita di dare la colpa a qualcosa, sempre pronta a prendersi le sue colpe quando la situazione non girava ma comunque in grado di essere positiva e di rialzarsi. Gli esempi si sprecano, ne riportiamo quello che ha segnato l’inizio del declino: nel 2015 venne eliminata al primo turno dell’Australian Open da Lucie Hradecka rivelando in conferenza stampa di essere scesa in campo con un dito del piede rotto che le costò due mesi senza allenamenti. Da lì in poi i problemi non l’hanno mai abbandonata al 100%, la condizione fisica non migliorava e nonostante le tante speranze per la nuova stagione, Ivanovic non ha più saputo rialzarsi. L’intervento al polso di fine settembre sembrava l’unica soluzione per darle nuove motivazioni, ma non è bastato. Le apparizioni nella scorsa IPTL, torneo che comunque mantiene lo status di “esibizione”, hanno segnato definitivamente la mente di Ivanovic, convincendola che non avrebbe più potuto spingere al massimo come aveva fatto anche nei momenti più difficili della sua carriera: nel biennio 2012-2013.
Visibilmente dimagrita, con molta meno spinta sulla palla e quasi impossibilitata a sprigionare tutta la potenza di quel dritto che negli anni d’oro le aveva dato così tanto, ha comunque rimesso a posto le cose. Tanta dedizione, convinzione e coraggio. Il risultato è stato un 2014 che sembrava la rinascita. Quattro titoli, vittorie su Serena Williams e Maria Sharapova, competitiva ovunque ed il rientro in top-5 con tanto di partecipazione alle WTA Finals per la prima volta dal 2008.
Dice addio una campionessa che ha dato tutto fino alla fine. Simbolo di tante ragazzine che negli anni hanno cominciato a guardare al tennis con maggiore interesse, protagonista in campo e fuori. E dispiace, soprattutto per chi ne era veramente tifoso, che l’addio sia stato rivelato con un breve video-messaggio su un social network: poche parole, l’assenza più totale di un contorno degno di chi ha fatto la storia di un intero paese. Forse verrà organizzato un evento ufficiale dalla WTA, intanto però Ivanovic lascia il tennis giocato, ed a noi tanta amarezza.
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