di Salvatore Sodano C’era un ragazzo che come me… amava i Beatles il Rock&Roll… e il tennis? Forse, ma scavando nel fotocatalogo dei vip, a disposizione nella banca dati, di Morandi tennista non c’è traccia. Allora? Cosa c’entra Morandi con il tennis, a parte le circostanze che spesso lo hanno visto esibirsi negli stadi del […]
TENNIS – Di Luigi Ansaloni
RIO DE JANEIRO. C’è chi non ha dormito, chi lo stava facendo ma poi nel cuore della notte si è svegliato, ricordandosi che c’era la partita, c’è chi svogliatamente e distrattamente ha aperto un occhio, preso da caldo e zanzare, e guardato il punteggio parziale, decidendo che beh, si, mandare al diavolo Morfeo per qualche oretta poteva essere una buona idea.
E’ stato strano, tutto strano, questo match tra Del Potro e Djokovic. Olimpiadi, innanzitutto, Argentina contro Serbia. Niente sponsor, colori nazionali. Si lotta per la patria, per una medaglia, per l’orgoglio nazionale. Si erano incrociati a Londra 2012, finale terzo e quarto posto. Vinse Del Potro. Altri tempi, altra storia. Djokovic era reduce dal 2011 spaziale e da un 2012 un po’ così, Juan MartiN risaliva, risaliva dal primo, serio infortunio. Ma era lì, lo sapeva lui, lo sapevano tutti, lo sapevamo noi. Non avevamo dubbi. Stavolta è diverso, è stato diverso. Djokovic è il Signore incontrastato del tennis, Del Potro è uno a cui, fino a qualche settimana fa, non gli davi una chance. Certo, per carità, gran giocatore, eccezionale giocatore, ma porello, quel polso. Ha cambiato persino modo di colpire il rovescio, per poter giocare.
Il suo tentativo di rientro appariva disperato. Fino a marzo/aprile. Poi qualcosa è cambiato. Prime vittorie importanti. Thiem, la nuova speranza del tennis. Poi Wawrinka, a Wimbledon. La Davis contro l’Italia e l’Argentina in semifinali. Tutti segnali, positivi, molto positivi. Eppero’ quando vinceva una partita, l’altra era stanco. Mancava il ritmo. Ci sta, naturale. Dopotutto anche nel primo rientro (e aveva qualche anno in meno) Del Potro ci ha messo mesi e mesi, prima di tornare quello che nel 2009 aveva vinto gli Us Open e che sembrava essere il futuro. Quello vero. Poi arrivano le Olimpiadi, in una Rio de Janeiro un po’ triste per i tanti, troppi infortuni e assenze illustri, prima fra tutti ovviamente quella di Roger Federer (a proposito: buon compleanno Roger, ci manchi). Sorteggio: Djokovic-Del Potro. Terrificante, per entrambi.
Seriamente, nessuno credeva in una sconfitta del serbo. I più ottimisti pensavano ad un terzo set. I realisti in 10 game totali da parte dell’argentino. Ma poi, per fortuna, si gioca a tennis. E il tennis è quello che è, uno sport malvagio. Nel senso buono, ma anche no. Finsice 7-6 7-6, con Del Potro esultante e con Djokovic in versione lacrimosa.
Tecnicamente non ha senso parlare della partita. Juan Martin ha fatto quello che era abituato a fare prima del crack, ovvero martellare l’avversario in lungo e in largo con i suoi micidiali colpi. Opinione personale: il dritto a sventaglio di Del Potro è il colpo in assoluto più devastante del tennis moderno. Il numero uno del mondo, e questa è la notizia, non ha giocato male, ma ha perso. E perso male, in due set.
Per chi ama lo sport con la racchetta, questa partita è stata vita. Perché da troppo tempo si discute sulla bruttezza di questo 2016, sulla mancanza di avversari per il serbo, su quanto i giovani facciano fatica a crescere e cose così. Volevate una storia, un’immagine lieta per questa annata un po’ così? Beh, Del Potro che esulta a fine match, potrebbe essere un’idea. E soprattutto: volevate e speravatE in un avversario? Non nel 2016 forse, ma nel 2017 Juan Martin potrebbe essere più di una speranza. Per dirla alla Star Wars: una nuova speranza.