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03 Mar 2016 06:00 - Extra
Challenge Round. David Ferrer, la stanchezza del guerriero
di Fabrizio Fidecaro
TENNIS – DI FABRIZIO FIDECARO – Poche gioie per David Ferrer in questo inizio d’anno. Lo spagnolo ha giocato bene solo agli Australian Open, ma negli altri appuntamenti è rimasto ben al di sotto dei propri standard abituali. A quasi trentaquattro anni, saprà riprendersi?
Sei tornei senza raggiungere nemmeno una finale. Per David Ferrer l’inizio del 2016 è stato insolitamente avaro di soddisfazioni. Sono giunti solo due piazzamenti in semi, a Auckland (battuto da Jack Sock) e a Buenos Aires (Almagro), poi i quarti agli Australian Open e a Rio de Janeiro, il secondo turno ad Acapulco, l’uscita all’esordio a Doha. In totale undici match vinti a fronte di sei sconfitte, un bilancio non all’altezza degli standard dello spagnolo. A conferma della sua attitudine per i grandi eventi, comunque, Ferrer ha espresso il miglior tennis dell’anno proprio a Melbourne, dov’è giunto fra i primi otto senza cedere un set, strappandone poi uno a Andy Murray.
Tuttavia le gioie per David sono state ben inferiori rispetto a quelle ottenute nell’analogo periodo delle stagioni passate. Nel 2015 aveva già conquistato tre trofei (Doha, Rio e Acapulco) con un impressionante score di 18 successi e appena uno stop, il medesimo realizzato nel 2012, quando si era imposto a Auckland, Buenos Aires e Acapulco. Due i centri nel 2011 (Auckland e Acapulco, 14-2) e nel 2013 (Auckland e Buenos Aires, 21-3), uno nel 2010 (Acapulco, 13-4) e nel 2014 (Buenos Aires, 17-5). Era dal 2009 che l’iberico non arrivava ai primi di marzo con la bacheca vuota, ma allora era comunque giunto in finale a Dubai.
In Brasile il tennista di Javea si è lamentato delle difficili condizioni di gioco, con caldo estremo e pesante umidità; in Messico ha ammesso di sentirsi molto stanco, giungendo a ipotizzare un forfait nel primo Master 1000 dell’anno. «Ho bisogno di tornare a casa e riposare», ha spiegato. «Ho viaggiato e giocato tanto, ora è giunto il momento che mi fermi un po’. Indian Wells? Non so se ci sarò».
In effetti, nelle ultime uscite, Ferrer è apparso a disagio, meno scattante e decisamente più falloso del consueto, talvolta addirittura al limite dell’impazienza. E per uno come lui, che ha basato le proprie fortune sulle doti atletiche e sulla regolarità, è inevitabile che a un calo di questo genere corrisponda una diminuzione sensibile delle chance di vittoria a certi livelli.
Solo un momento di scarsa forma o le avvisaglie del declino? La seconda opzione, tutto sommato, sarebbe comprensibile, visto che David compirà trentaquattro anni fra un mese e calca i terreni più prestigiosi ormai da tanto tempo. In pochi, a inizio carriera, avrebbero pronosticato per lui un simile percorso, scandito da ventisei titoli nel circuito maggiore, finali al Roland Garros e al Master, un career high al terzo posto del ranking Atp. Logico che le tante fatiche accumulate in giro per il mondo comincino a pesare e che certi meccanismi una volta perfettamente oliati producano qualche sinistro scricchiolio.
Presumibile, insomma, che il meglio sia ormai alle spalle, ma Ferrer è ancora capace di alcune fiammate. L’importante sarà studiare bene la programmazione, ché sei tornei in due mesi scarsi, tra Medio Oriente, Oceania, Sud e Centro America, si sentono nel corpo e nella testa più di una volta. E se, per ritrovare la condizione, sarà necessario saltare Indian Wells, perché farsi troppi scrupoli? In fondo la prova californiana non ha mai portato troppa fortuna a David. Magari la rinascita partirà da Miami o, chissà, dalla primavera sulla terra europea. Fondamentale sarà arrivarvi con il fisico in ordine e lo spirito giusto. E chissà che il guerriero spagnolo, rinvigorito, non torni a mietere vittime illustri.