Esclusiva / Riccardo Piatti: «Raonic ragazzo eccezionale. Moya elemento fondamentale per tutti noi»

TENNIS – Dal nostro inviato a Melbourne Diego Barbiani

Riccardo Piatti non ha lasciato neanche finire la domanda: «Pensavi in un inizio così forte di Milos Raonic dopo un 2015 complicato?» Non ha avuto il minimo dubbio, «Sì».

Dopo aver osservato il proprio allievo allenarsi per due ore con Marin Cilic, l’esperto coach italiano ha ripercorso il loro rapporto fino all’inizio, quando nel novembre del 2013 lasciò Gasquet per ufficializzare poco dopo l’inizio del lavoro con il canadese. «E’ stato lui a cercarmi, anche grazie alla collaborazione di Ivan Ljubicic».

E’ stata una off-season quasi perfetta, ha detto, con l’unico problema arrivato all’inizio con un piccolo fastidio alla schiena subito risolto. «D’altronde Milos è un ragazzo fenomenale. E’ dedito al lavoro in una maniera enorme, lavora incessantemente ed ha punti di forza che sono straordinari, come il servizio ed il dritto. Poi è giovane, non dimentichiamo che è il giocatore nato nel 1990 più avanti in classifica e solo pochi mesi fa arrivava al n.4 del mondo».

Sei uno dei tecnici più rispettati in tutto il circuito, hai preso tanti giocatori e li hai portati ai vertici della classifica. Cosa vedi in loro che ti piace e cosa ti fa pensare “ok, voglio allenare lui”?

«Io li conosco quasi tutti. Succede che sono loro per primi a chiedermi se posso allenarli. A quel punto sta a lui: se è dedito al lavoro, come nel caso di Raonic, o se è concentrato e vuole davvero arrivare in alto. Sono così io: adoro questo sport, ma voglio anche che i miei allievi lo sappiano fare al meglio».

Tu lavori in maniera diretta sulla mente della persona o preferisci che sia il giocatore stesso a capire certe dinamiche ed a crescere in quell’aspetto?

«Do delle indicazioni a livello tecnico ed a livello tattico. Poi, se io voglio far bene il mio lavoro devo conoscere la persona con cui lavoro: da dove proviene, quali sono i tipi di educazione che ha ricevuto, la sua motivazione. Come vedi, però, bisogna lavorare anche sulla testa dell’altro, del giocatore».

Come è stato l’impatto di Moya nel vostro team?

«Molto buono, davvero. Carlos è stato un grandissimo campione, è un’ottima persona, ha un’esperienza enorme che sta cominciando a trasmettere a Milos. Io credo che sia una cosa ottima per lui. Sono contento per Ivan che è passato da Federer, perché farà un’esperienza enorme, ma sono altrettanto contento che sia arrivato Moya perché è una voce diversa. Io ed Ivan eravamo più o meno una cosa sola visto che l’ho allenato per diciassette anni. Moya invece è diverso, ha una tipologia di educazione diversa e crescita diversa».

Avete strutturato il lavoro nella stessa maniera o vi dedicate a due ambiti diversi per la crescita di Raonic?

«A me interessa che Moya porti la sua esperienza da giocatore, come dicevo. Prima tatticamente, poi come vivere le giornate in un torneo e come affrontare le diverse situazioni in cui può capitare. In più è stato n.1 del mondo ed ha vinto Slam, per cui è solo qualcosa di positivo quello che può dare. Io ho sempre lavorato in compagnia di ex giocatori: quando Ljubicic cresceva assieme a me c’era per dei periodi Wojciech Fibak e per altri Nikola Pilic, quando invece avevo tennisti come Furlan e Caratti avevo Tomas Smid. Ho avuto il supporto anche di alcuni ex giocatori italiani come Paolo Bertolucci. Questo perché quando ho cominciato ad allenare, a vent’anni, non mi ritenevo magari con l’esperienza necessaria. Col tempo questa è arrivata, ma credo ugualmente che servano più voci all’interno di un team per confrontarsi nella maniera migliore. E’ qualcosa che si fa per i giocatori ma anche per noi allenatori, qualcosa che ci faccia ragionare anche con l’influenza di altre persone».

 

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