TENNIS – DI FABRIZIO FIDECARO – Abbiamo assistito a delle Wta Finals rocambolesche, con un match clou tra Radwanska e Kvitova, già battute due volte ciascuna nel round robin. Tutto molto divertente, ma l’impressione è stata di seguire un ricco torneo esibizione.
Una finale del Master fra tenniste già battute per due volte nel medesimo torneo. Quella verificatasi a Singapore è stata una situazione inedita per il nostro sport, da sempre abituato all’eliminazione diretta. Avevamo già visto campionesse superate in precedenza nel round robin, esiti di incontri disputati nel girone ribaltati nell’ultimo atto e così via, fra le ragazze come in campo maschile. Le Wta Finals hanno portato il tutto all’estremo, con una sfida per il titolo vinta da Agnieszka Radwanska – che aveva addirittura iniziato il suo cammino con due kappaò, prima con Maria Sharapova e poi con Flavia Pennetta – su Petra Kvitova, alla terza sconfitta dopo quelle patite dinanzi ad Angelique Kerber e a Garbine Muguruza.
La credibilità tecnica e agonistica di una simile manifestazione? Prossima allo zero, diciamo la verità. Il successo in un qualunque Major ha un’importanza nemmeno lontanamente paragonabile, e le giocatrici, al di là dei punti per il ranking e del denaro che guadagnano, non possono che esserne consapevoli. Però è innegabile che ci siamo divertiti. Assistere a tanti capovolgimenti di fronte – con partecipanti date per spacciate capaci di risorgere fino al trionfo (o a giungervi vicino) e altre, date per sicure protagoniste del match clou, smarrite all’improvviso lungo la strada – è stato coinvolgente: un vero e proprio sport entertainment. Un po’ come il wrestling, in cui l’andamento dei confronti è predeterminato e i cosiddetti booker cercano solitamente di far ruotare i possessori delle principali cinture per non rischiare di annoiare il pubblico. Ecco, probabilmente nemmeno il più abile tra loro sarebbe riuscito a immaginare e a mandare in scena una storyline tanto sorprendente, con tutte e otto le giocatrici capaci di ritagliarsi un proprio ruolo specifico, pedine di un mosaico dall’imprevedibile assemblaggio.
Insomma, la kermesse asiatica ha costituito innegabile fonte di diletto per ogni appassionato, ma, alla fin fine, la sensazione che rimane, stavolta più che mai, è di aver assistito a una sorta di ricchissima esibizione. Spettacolare e con in campo il top della racchetta, ma nulla, o quasi, di più. Il tennis “serio”, quello in cui ogni match conta già di per se stesso e i calcoli matematici di set e game valgono meno di zero, torneremo ad ammirarlo a gennaio in Australia.
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