Challenge Round. Quando Camporese trionfò a Rotterdam battendo Lendl

TENNIS – DI FABRIZIO FIDECARO – Il torneo Atp di Rotterdam fu vinto nel 1991 da un fantastico Omar Camporese, che nel match clou batté in rimonta Ivan Lendl, dopo aver annullato due matchpoint al fuoriclasse di Ostrava.

Tutti davanti alla tv per seguire la finale di Rotterdam. Ivan Lendl contro Omar Camporese, il ben noto campionissimo contro la sorpresa azzurra, in diretta, ancora in chiaro, su Tele+2. Correva l’anno 1991 e l’Italia si apprestava a celebrare la sua più grande vittoria in singolare dai tempi gloriosi di Adriano Panatta.

Da qualche tempo il 22enne Omar si era aggregato al gruppo allenato da Riccardo Piatti, che comprendeva anche altri giovani emergenti quali Cristiano Caratti e Renzo Furlan. La sua stagione era partita con alcuni match incredibili. Agli Australian Open si era arreso al terzo turno per 76 76 06 46 1412 dinanzi a Boris Becker, che avrebbe conquistato il titolo diventando per la prima volta numero uno del mondo.

Qualche settimana più tardi, nella sfida di Coppa Davis con la Germania a Dortmund, aveva rifilato tre set a zero a Michael Stich, il quale di lì a pochi mesi si sarebbe imposto a Wimbledon, e poi, sconfitti in doppio Becker e Jelen al fianco di Diego Nargiso, aveva ingaggiato un nuovo corpo a corpo con Boris, facendo suoi i primi due parziali, ma finendo per cedere 63 al quinto.

All’evento indoor olandese Camporese si presentò in smaglianti condizioni di forma. Concesse un set all’esordio a Eric Jelen, poi regolò senza troppe difficoltà l’austriaco Alex Antonitsch e il ceco Karel Novacek, ottavo del seeding. In un’infuocata semifinale dovette lottare a lungo con il beniamino di casa Paul Haarhuis, superandolo in rimonta al tie-break decisivo.

Il match clou con il primo favorito del tabellone si prospettava ancor più duro. È vero che nell’agosto precedente Lendl aveva ceduto la leadership nel ranking Atp, ma era ancora numero 3 e l’inizio del 1991 stava rivedendolo su ottimi livelli. A Melbourne aveva raggiunto la finale, battendo Edberg e arrendendosi solo a Becker, e poi aveva inanellato in rapida successione i titoli di Filadelfia (su Sampras) e Memphis (su Stich). Insomma, Ivan il Terribile era ormai oltre la trentina, ma in lui non traspariva alcun segno di ammorbidimento.

In effetti l’avvio della finale sembrò spegnere quasi ogni speranza. Break al primo e al nono game, e un inappellabile 63 per il ceco d’America. Nella seconda frazione, però, Omar cominciò a sciogliere il braccio, lasciando partire le mirabolanti bordate di diritto che ne avrebbero contraddistinto i momenti migliori della carriera. Fu lui a togliere il servizio all’avversario, ma immediato giunse il controbreak, che affidò le sorti del parziale al tie-break. Qui il bolognese acquisì un vantaggio di 3-0, che difese sino al 7-4. Si andava al terzo.

In apertura Lendl, furibondo per non aver chiuso la pratica in due set, strappò a Omar la battuta a zero. Fino al 5-4 in suo favore Ivan concesse all’azzurro soltanto due punti sul proprio servizio. Arrivò il matchpoint, ma Lendl mise lungo un rovescio, forse infastidito per il brusio di parte del pubblico, che riteneva out la sua seconda. Una nuova palla per la vittoria, con volée sbagliata dal cinque volte vincitore del Masters. Poi, improvvisa, la fiammata azzurra con il controbreak di Camporese, che fissò lo score sul 5 pari.

A determinare il nome da incidere nell’albo d’oro fu un nuovo tie-break. Omar si involò sul 3-1, fu raggiunto, ma si staccò fino al 6-3. Lendl salvò un matchpoint, ma sul secondo uno scambio rocambolesco consegnò all’emiliano il clamoroso successo.

«Probabilmente sto ancora sognando», furono le prime parole del neo-campione al termine dell’incontro. Nemmeno lui riusciva a capacitarsi dell’impresa appena compiuta. Avevamo assistito a un ultimo atto palpitante, e l’emozione era filtrata nitida attraverso i teleschermi, raggiungendo anche le case degli appassionati italiani in quella ormai lontana domenica pomeriggio invernale.

Grazie al sigillo olandese Camporese entrò fra i top 30 del ranking. Poco meno di un anno più tardi avrebbe stabilito il suo career high, la 18esima posizione assegnatagli dal computer in seguito al centro ottenuto a Milano su Goran Ivanisevic. Per oltre due decenni nessun nostro rappresentante si sarebbe spinto più in alto. Al di là delle cifre, comunque, Omar resta l’ultimo italiano ad aver dato l’impressione, quando era al top, di potersela giocare davvero con chiunque. E certi formidabili exploit, Rotterdam in primis, sono lì a testimoniarlo.

 

Dalla stessa categoria