Quale forma ha l’acqua? In verità l’acqua prende la forma che le viene data, perché si sostiene che non ne abbia davvero una tutta sua. Proprio come un liquido, incapace di acquisire una sola forma, il tennis di Jannik Sinner fluisce, si adegua a ogni foggia o situazione. Scorre inesorabile ignorando gli ostacoli e procede […]
Di Gianluca Atlante
Basta, ce lo teniamo così. Istrionico, bizzarro, da prendere a schiaffi il più delle volte, ma con quell’innato talento che, di questi tempi, almeno dalle nostre parti, è simile all’oro colato. Fabio Fognini, è così: prendere o lasciare. E noi ce lo prendiamo, magari perchè non abbiamo di meglio o, magari, perchè alla fine dietro ogni giocatore talentuoso che si rispetti, si nasconde quel pizzico di pazzia, il più delle volte deleteria, come nel suo caso, ma che alla fine, comunque, non guasta.
Poi, per carità, criticare determinati suoi atteggiamenti è giusto ed opportuno farlo, ma senza diventare noiosi. Tanto lui è così e difficilmente potrà cambiare. Magari migliorare, smussando angoli del suo essere in mezzo al campo, ma cambiare la vediamo proprio dura. Il 6/1 6/0 rimediato da Raonic nei quarti di finale del 1000 di Cincinnati, altri non è che il comun denominatore del suo essere giocatore di tennis. Capace di arrivare lì dove, magari, nessuno avrebbe mai immaginato che potesse arrivare, per poi smarrirsi in un amen, cancellando di fatto quanto di buono fatto un attimo prima. Per carità, con Raonic si può perdere, ma non in quel modo. E, senza andare a tirar fuori la parabola del buon Canè, Paolino all’anagrafe, continuiamo a pensare che è meglio perdere 7/6 al terzo, piuttosto che 6/1 6/0 in 57′ e 10 secondi. Un quarto di finale in un 1000, il primo peraltro sul cemento dopo anni e anni di schiaffi in faccia, rappresenta, comunque, un buon viatico in vista dell’Open degli Stati, quarta ed ultima prova dello Slam, in onda a New York dal 25 agosto. Dove, in base a quanto ci ha detto sino a questo punto la “campagna” statunitense, siamo pronti ad aggrapparci con le unghie al talento del tennista di Arma di Taggia e alla sua graziosa fidanzata, Flavia Pennetta. Covando, dentro di noi, la speranza che Sara Errani e Roberta Vinci ritrovino, anche in singolare, lo smalto dei vecchi tempi e che Camila Giorgi capisca finalmente che una partita di tennis può anche essere fatta di palle più morbide, di smorzate al momento di giusto, di cambi di direzione non per forza figli di un missili terra-aria. Crediamo, e lo diciamo perchè conosciamo chi, ogni giorno, va in campo con lei, che la graziosa Camila, abbia tutto questo nel suo dna. Possieda, insomma, quelle qualità, oggi magari un tantino nascoste, utili a dare continuità a risultati importanti già ottenuti, ma che necessitino, ogni qualvolta vengono centrati, della famosa prova del nove, troppe volte fallita per pura ingordigia tattica. Vesnina e Kuznetsova, lo dicono i punteggi di Montreal e Cincinnati, sono oggi alla portata di Camila, ma non si può sempre rincorrere, ostinandosi a fare sempre e solo a pallate con chiunque, anche con chi è abituato, vedi l’ex regina di Parigi e Us Open, a farlo da sempre. Detto questo e considerando che la Giorgi rappresenta, allo stato attuale delle cose, l’unico vero ed imminente ricambio, non ci sembra così blasfemo affermare che il nostro “tennis in gonnella”, quello che per anni ha retto l’urto in maniera egregia, sta forse attraversando il momento più brutto. Errani e Vinci non sono più quelle di un anno fa, la Pennetta tiene il passo a fatica e, come se non bastasse, ha una cambiale in arrivo salatissima (semifinale all’Open degli Stati Uniti), la Schiavone ha dato, la Knapp arranca e la Giorgi non riesce a mettere un turno dietro l’altro. Poi, magari, fra una settimana verremo smentiti, e ce lo auguriamo, ma allo stato attuale delle cose, non possiamo pensare e scrivere in maniera differente.