TENNIS – di FABRIZIO FIDECARO
Mats Wilander compie cinquant’anni domani, venerdì 22 agosto. Il fuoriclasse svedese è stato un indiscusso maestro di strategia e sulla versatilità tattica ha costruito una carriera straordinaria, che lo ha visto trionfare in sette Major.
Uno dei più grandi cervelli tennistici di sempre. Nessun dubbio al riguardo: nella costruzione del giocatore ideale all time, Mats Wilander sarebbe uno dei grandi favoriti per primeggiare alla voce “intelligenza strategica”. Domani, venerdì 22 agosto, il fuoriclasse svedese taglierà il traguardo del mezzo secolo e merita una piccola celebrazione. Riportare in breve i principali successi da lui conquistati è ovvio e doveroso: su tutti i sette titoli Major (tre Australian Open, tre Roland Garros, un US Open), i tre quarti di Slam ottenuti nel 1988, anno in cui si issò al primo posto del ranking mondiale, le tre Coppe Davis e tanto altro ancora.
Forse ancor più che per gli straordinari risultati, Wilander sarà ricordato perché ha rappresentato uno dei massimi esempi di versatilità tattica. Sapeva adattarsi a qualsiasi situazione, a ogni tipologia di avversario. Studiava l’impostazione del match con attenzione maniacale, mantenendo la giusta dose di freddezza e distacco per riuscire a trovare con sottile acume le soluzioni più appropriate e a lui maggiormente congeniali.
Era il maestro dei punti chiave, quelli che non necessariamente si disputano nelle fasi conclusive del set, ma possono capitare anche all’inizio o a metà, e di cui non tutti sono in grado di cogliere subito l’importanza. Lui sì, la indivduava alla perfezione, regolandosi di conseguenza. E poi, specie da un certo periodo della carriera in poi, era in grado in ogni momento di sorprendere i rivali, che non sapevano che cosa aspettarsi da lui, in quale maniera avrebbe giocato il punto successivo.
Al debutto sul circuito, il futuro campione nato a Vaxjo era un regolarista pressoché puro: tornano subito alla mente le interminabili quattro ore e quarantadue minuti della finale del Roland Garros 1982 contro Guillermo Vilas, che gli valsero il primo centro Slam. Lì Mats si limitava per lo più ad attendere l’errore dell’avversario, e sarebbe toccato all’argentino, più anziano di dodici anni, cercare di prendere l’iniziativa per scardinarne le difese. Non certo a lui, imberbe biondino riccioluto, non ancora maggiorenne.
Nelle stagioni seguenti, Wilander, che pure vantava già quattro titoli Major in bacheca prima di compiere ventuno anni, si rese conto di essere troppo leggero e poco potente rispetto ai principali antagonisti. Per continuare a essere fra le stelle dell’Atp, insomma, la regolarità non bastava più: era necessario completare il bagaglio tecnico per avere a disposizione nuove alternative. Ecco dunque che arrivarono un formidabile rovescio in back (da affiancare a quello bimane standard), utile per spezzare il ritmo ma spesso buono anche da seguire a rete, un servizio più solido, delle efficaci volée costruite con pazienza in allenamento e nei tornei di doppio (che gli regalarono molte soddisfazioni: assieme al fido Joakim Nystrom vinse addirittura Wimbledon).
La quadratura del cerchio avvenne nel suo anno d’oro, il 1988, quello dei tre quarti Slam e della magnifica finale a Flushing Meadows in cui, con un emozionante match tutto all’assalto, andò coraggiosamente a sfidare con il coltello tra i denti i terribili passanti del tre volte campione uscente Lendl. Vinse dopo quasi cinque ore di lotta e strappò a Ivan il primato in classifica, detenuto da tre anni ininterrotti. Fu l’apoteosi. Mai nessuno, né prima né dopo, ha dovuto trionfare in sette Major prima di issarsi in vetta al ranking. Mats si godé l’impresa, faticosamente costruita mattoncino dopo mattoncino, ma ne uscì svuotato di energie e di stimoli, tanto da congedarsi definitivamente dalla top ten già nel febbraio del 1990.
Gli anni d’oro erano passati, ma Wilander, dopo essersi fermato tra il ’91 e il ’93, rientrò nel Tour a mezzo servizio, permettendosi in talune occasioni di dare lezioni anche a giovani leve di talento come Rafter e Kafelnikov. Le gambe non giravano più come un tempo, gli automatismi ogni tanto si inceppavano un po’, ma il cervello, quello, era rimasto lo stesso di sempre. Un vero e proprio colpo vincente, come il servizio di Becker, il diritto di Lendl o la volée di rovescio di Edberg, sul quale lo scandinavo ha costruito una carriera formidabile, guadagnandosi la stima degli appassionati e un posto tra gli immortali della racchetta, certificato dall’ingresso nella Hall of Fame di Newport nel 2002. Felice compleanno, Mats!
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