Resterà per sempre il primo italiano ad aver vinto un titolo slam, a Parigi, nel 1959. Successo che doppiò l’anno dopo. Ed il capitano della squadra che nel 1976 tornò dal Cile con la Coppa Davis, anche quella una prima volta. Nicola Pietrangeli se n’é andato a 92 anni e con lui si chiude una […]

Parigi sempre più pazza per Ernests Gulbis, tanto da scomodare paragoni un tantino scomodi. Come quello tra il lettone e nientemeno che Ernesto Che Guevara. Un nome, una storia (lievemente) diversa. Anche vero che Gulbis, in questo momento, sta davvero “rivoluzionando” le gerarchie del Roland Garros. Gulbis ha battuto ieri un deludente Tomas Berdych 63 62 64 superando la prova del nove dopo Federer ed entrando nei top 10 per la prima volta in carriera: prima semifinale dello Slam. Partita dominata dal lettone, che ha giocato il suo miglior tennis e non ha mai avuto momenti di pausa. E’ beffardo il sorriso di Ernests Gulbis, come sempre. Stampato su una faccia da bravo ragazzo, ma non troppo, che spesso inganna. Fino a quando parla, a quel punto scopri il suo essere franco, esibizionista, prima donna, ne vedi proprio la convinzione. Gulbis non è nemmeno un cattivo, però. E’ solo diverso: diverso perché non ha dovuto aggrapparsi al tennis come ad un lavoro, non ha dovuto ricompensare a tutti i costi i sacrifici dei genitori, è stato sempre accontentato, coccolato. Difficilmente qualcuno gli ha detto no. Ma fino a poco tempo fa il (non più tanto giovane) Ernests i no li ha ricevuti tutti dal campo: doti innegabili, potenza devastante, maestri mirabili (Pilic su tutti) fin da bambino. Voglia e dedizione sempre poche: nel tennis moderno, il talento non basta. Il successo è un lavoro.
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