Quale forma ha l’acqua? In verità l’acqua prende la forma che le viene data, perché si sostiene che non ne abbia davvero una tutta sua. Proprio come un liquido, incapace di acquisire una sola forma, il tennis di Jannik Sinner fluisce, si adegua a ogni foggia o situazione. Scorre inesorabile ignorando gli ostacoli e procede […]
29 Mag 2014 14:00 - Commenti
Tennis e dintorni: riecco Mecir, il tennis non ama i figli d'arte
di Stefano Semeraro
TENNIS – Di Stefano Semeraro
PARIGI. Se avete nostalgia del Gattone, potete consolarvi con il Micetto.
Se a cavallo fra anni Ottanta e anni Novanta vi esaltavate per quel bel tipo di Miloslav Mecir, ex numero 4 del mondo e medaglia d’oro alle Olimpiadi nei 1988, finalista agli Open d’Australia e degli Stati Uniti, campione interrotto e soprattutto giocatore cult di una intera generazione di innamorati dell’imprevedibile – beh, il campo n.4 del Roland Garros è stato il posto giusto per stupirvi e spremere una lacrimuccia: lunedì ci ha giocato suo figlio, Miloslav Mecir junior, al suo debutto in un torneo dello Slam contro il tedesco Tobias Kamke.
Stupore perché Milo minore è una copia conforme del babbo, vederlo giocare è quasi straniante: stessa facciotta da felino danubiano e sornione, stessa barbetta fulva, stesso fisico, stessi colpi piatti e anticipati. Stessi problemi alla schiena. «E’ vero – ha ammesso lui – di solito la gente che vede me, vede mio padre». La differenza sta nei risultati, visto che a 26 anni papà Mecir era già un pensionato illustre, costretto al ritiro dalle vertebre doloranti che era abituato a stiracchiare pigro sui divani (e per quello Vittorio Selmi, tour manager dell’Atp, gli affibbiò un soprannome italiano, solo dopo tradotto in “Big Cat”: «Sembri proprio un gattone…»).
Il figlio, oggi n.211 del mondo, alla stessa età una carriera di vertice deve invece ancora costruirsela. «Fra i 14 e i 17 anni gli infortuni mi hanno praticamente impedito di giocare», spiega. «Ho anche pensato di smettere poi ho capito che i guadagni del tennis mi sarebbero serviti a mantenermi agli studi (in scienze naturali; ndr)». Mica scemo, il micetto. Tenere duro, con l’aiuto del padre che lo segue con affetto ma non come coach ufficiale, ha pagato.
A fine 2013 nell Atp di Vienna ha eliminato il n.51 del mondo Pablo Andujar e fatto sudare un po’ il 36enne Tommy Haas, ex numero 2 Atp (oggi è n.18): «Uno che mi ricordavo di aver visto giocare una volta a Perth – ha sorriso Milo – quando avevo nove anni e accompagnavo papá che faceva da coach a Karol Kucera (detto il Gattino; ndr)…».
DINASTIE. Nel tennis, a differenza che nell’automobilismo dove, vedi il caso-Rosberg, le dinastie sono spesso vincenti, raramente i successi dei padri ricadono sui figli. Nell’era del computer solo quattro figli d’arte sono stati capaci di entrare fra i Top 100: Sandon Stolle, n.50 (figlio di Fred, vincitore a Parigi nel 1965 e plurifinalista a Wimbledon), Taylor Dent, n.21 (figlio del n.17 Phil), Joachim Johansson, n.9 (Leif, n.51) e l’attuale n.51 Atp Edouard Roger-Vasselin, figlio di Christophe (n.29 e semifinalista a Parigi nell’83), che è stato battuto sul centrale da Jo-Wilfried Tsonga.
Alla schiatta dei Krishnan è andata meglio, soprattutto in Coppa Davis – papà Ramanathan, un idolo ai tempi di Nehru e Gandhi, portò l’India in finale nel 1956, il figlio Ramesh, numero 23 Atp, fece lo stesso nel 1987 – mentre quest’anno a Parigi hanno tentato le qualificazioni anche Emilio Gomez, figlio di Andrès, campione al Roland Garros nel 1990, e Sergey Bubka junior: erede non di un tennista ma del re del salto con l’asta che però nell’88 a Seul vinse l’oro proprio come Mecir senior. Corsi e rincorse (alla gloria). Il Micino un po’ ci spera, un po’ fa le fusa. «Debuttare a Parigi è un sogno che è diventato realtà, oggi posso dire di essere orgoglioso di essere un Mecir».