di Salvatore Sodano C’era un ragazzo che come me… amava i Beatles il Rock&Roll… e il tennis? Forse, ma scavando nel fotocatalogo dei vip, a disposizione nella banca dati, di Morandi tennista non c’è traccia. Allora? Cosa c’entra Morandi con il tennis, a parte le circostanze che spesso lo hanno visto esibirsi negli stadi del […]
TENNIS – Di ROSSANA CAPOBIANCO – Come ha fatto Wawrinka a diventare un bellissimo vincente da un bellissimo perdente? Storia di una trasformazione, tecnica, tattica e mentale di un ex numero due di Svizzera, ormai “in the zone” e ancora a zero sconfitte nel 2014.
“Ho sempre tentato. Ho sempre fallito. Non discutere. Prova ancora. Fallisci ancora, fallisci meglio”.
E’ la celebre frase di Samuel Beckett che tutti sanno essere incisa sull’avambraccio di Stanislas Wawrinka, campione agli Australian Open, numero uno di Svizzera davanti ad un certo Roger Federer e capace di trascinarlo in Davis, unico imbattuto in stagione fin qui. Ma chi è Wawrinka? Cosa c’entra l’ex butterato Stan di Losanna con la frase di Beckett? Perché ha pensato lo rappresentasse così tanto da tatuarsela per poi smentirla?
Il fatto è che Stanislas Wawrinka era quella frase. Sembrava cucita, prima che tatuata, addosso a lui. E poi è accaduto che le pressioni e le frustrazioni sono diventate ambizioni. Prima delle ambizioni (o forse dopo? E’ come chiedersi dell’uovo e la gallina) sono arrivate le trasformazioni tecniche. Se oggi guardate giocare Wawrinka ammirate certo il suo bellissimo rovescio, ma a primo impatto non siete certo così sicuri che il dritto sia un colpo costruito; già lo scorso anno si notarono miglioramenti consistenti, ma non più di due anni fa il dritto di Wawrinka era ballerino e difficilmente efficace, specie in lungolinea. Il servizio? Buono, difficilmente costante e solitamente traballante nei momenti importanti. Adesso lo svizzero serve a 220 Km/h, annulla palle break importanti con questo colpo, è svelto ad uscire dal movimento per aggredire con gli altri fondamentali.
Questo è stato certo possibile grazie a tanti aiuti che Wawrinka non si è mai negato: in principio fu Lundgren, che lo distrasse pure dalla famiglia; poi rimase incerto per un po’, affidandosi (lui rivela) anche ai preziosi consigli di Annacone “prestato” in qualche occasione dall’amico Federer. Infine la scelta per eccellenza, quel Magnus Norman che lo ha rivoltato come un calzino, proseguito i miglioramenti e reso solidissimo mentalmente; atleticamente, il lavoro fatto con Pierre Paganini (stesso preparatore di Roger) su base triennale ha pagato: importantissimo per il timing e per mantenersi integro, grazie anche ad una vita più da atleta adesso nel circuito.
Accade dunque che non fallisci più, tenti e ce la fai, malgrado batoste, malgrado una competizione che fa paura là fuori. E ce la fai e vorresti impazzire di gioia, ma non lo fai, anche se tutti là fuori pensano sia così, pensano che non giochi più e ti sei dato alla bella vita dopo l’incredibile vittoria a Melbourne e la trasferta serba in Davis: Stan scia, Stan in tutte le trasmissioni elvetiche, Stan a casa con la famiglia, Stan a Milano da Armani. Stan non ha più voglia, ha la pancia piena. Neanche si sarà allenato più! E invece Stan parte per Los Angeles, arriva a Palm Springs, si allena ad Indian Wells, vince due match non scontatissimi in maniera quasi imbarazzante, addirittura senza ricorrere al tie-break contro Karlovic al rientro dopo quasi due mesi. Poi, in 49 minuti, distrugge Seppi. Trova anche il tempo e la voglia del doppio insieme a Federer, tra una “selfie” ed un’altra.
Sì, avremmo dovuto dargli più credito, anche se dovesse perdere con Federer o Djokovic in questo torneo; Wawrinka, forse, non è stato una meteora. Wawrinka è semplicemente un giocatore e un uomo consapevole adesso: maturo e sicuro di sé, ordinato dentro e fuori dal campo. Felice. #Happy, come direbbe l’amico suo, che felice per lui lo è davvero.