Quale forma ha l’acqua? In verità l’acqua prende la forma che le viene data, perché si sostiene che non ne abbia davvero una tutta sua. Proprio come un liquido, incapace di acquisire una sola forma, il tennis di Jannik Sinner fluisce, si adegua a ogni foggia o situazione. Scorre inesorabile ignorando gli ostacoli e procede […]
di ROSSANA CAPOBIANCO – Murray, al rientro dall’infortunio, è riuscito a raggiungere i quarti di finale agli Australian Open, grazie anche ad un tabellone favorevole, ma ha steccato gli altri appuntamenti, mostrando limiti chiari al momento: quanto impiegherà per tornare ai suoi livelli? E lo scozzese è un campionissimo o soltanto un campione che si accontenta?
Chiariamo subito: Andy Murray è un campione, a suo modo un predestinato che si aspettava da tempo e che ha interrotto un digiuno che per la Gran Bretagna durava quasi un secolo.
Ci sono però diversi livelli di campione: quelli che ce la fanno, che vincono e si accontentano, che stentano e poi rivincono un altro po’; e i campionissimi, i cannibali dominatori o simili che hanno una fame che li definisce fenomeni, al di là del talento.
Andy Murray è ancora giovane e probabilmente non abbiamo ancora scoperto che tipo di campione sia; fino a un anno fa, o prima del suo primo Slam a New York, c’era chi ancora dubitava della possibilità dello scozzese di potersi imporre in un torneo del genere e con avversari che si chiamano Djokovic, Nadal, Federer.
Invece, prendendosi il suo tempo e un coach come Ivan Lendl che dal punto di vista mentale gli è stato parecchio d’aiuto, Murray in meno di dodici mesi ha vinto US Open e Wimbledon. Nonostante ciò, non si è mai (ancora) issato al numero uno del mondo, proprio per una concorrenza davvero fortissima. Ma forse non solo questa.
Andy Murray probabilmente non è un cannibale: è sempre stato un giocatore ambizioso, e il lavoro (immenso) che ha fatto e che lo ha reso atleta vero con ben otto chili di muscoli in più in due anni lo dimostra. E’ un vero professionista, un metodico. Ma è un numero uno? Un Sampras, un Nadal, un Federer, un Djokovic o, per restare a casa sua, un Ivan Lendl? Probabilmente no. Ma tocca a lui smentire gli scettici, come ha fatto con gli Slam. Tocca a lui, ora, al rientro da un grave infortunio culminato con un’operazione alla schiena, riuscire ad avere più fame di prima. Infortunio a parte, l’impressione da dopo Wimbledon è quella di un giocatore sazio, appagato che non ha più sentito e mostrato quella scintilla di chi vuol vincere.
E’ naturale che infortuni del genere si superino dopo mesi di partite in cui riprendi ritmo e fiducia: ma se Murray non riaccende quella fiamma, rimarrà un campione che si accontenta. Il 2014 ce lo svelerà.