Quale forma ha l’acqua? In verità l’acqua prende la forma che le viene data, perché si sostiene che non ne abbia davvero una tutta sua. Proprio come un liquido, incapace di acquisire una sola forma, il tennis di Jannik Sinner fluisce, si adegua a ogni foggia o situazione. Scorre inesorabile ignorando gli ostacoli e procede […]
di FABRIZIO FIDECARO –
Tomas Berdych è tornato domenica scorsa al successo dopo sedici mesi di astinenza, facendo suo il torneo di Rotterdam. Ripercorriamone la lenta e tortuosa ascesa nel ranking, con un occhio alle sue chance future.
Nel 2013 Tomas Berdych era stato l’unico top ten incapace di conquistare un titolo. Aveva raggiunto tre finali, venendo però sempre sconfitto: a Marsiglia da Tsonga, a Dubai da Djokovic e a Bangkok da Raonic. Per il resto, una stagione solida, fatta di tanti piazzamenti di rilievo, con il sapore amarognolo reso più dolce dalla seconda Coppa Davis consecutiva vinta alla Belgrade Arena.
Però, gli mancava la gioia di sollevare un trofeo individuale e godersi i meritati applausi del pubblico. L’ultima volta era stata a Stoccolma, nell’ottobre del 2012, con un’impetuosa rimonta su Tsonga nel match clou. Poi la bellezza di ventisette tornei disputati senza aggiudicarsene uno: due nel resto del 2012, tutti i 23 del 2013, i primi due del 2014.
Finalmente, domenica scorsa, nell’Atp 500 di Rotterdam, il 28enne ceco ha spezzato il digiuno. È vero che sul suo cammino non si sono frapposti ostacoli insuperabili: il giocatore di più alta classifica da lui battuto è stato nei quarti il polacco Jerzy Janowicz, n. 20, non a caso l’unico a strappargli un set. Non è colpa sua, però, se i due che lo precedevano nel seeding, Del Potro e Murray, si sono presentati al via dell’evento olandese in precarie condizioni di forma.
Per Tomas è giunto così il nono centro pieno in carriera: non molti per uno come lui, che da anni figura stabilmente fra i primi dieci del mondo. Che il ragazzo di Valasske Mezirici fosse un candidato all’elite del tennis lo si intuì fin dai suoi esordi nel circuito, e in particolare quando vinse il suo primo torneo, nel 2004 sulla terra di Palermo, con un doppio 63 in finale a Filippo Volandri.
Il boom giunse a fine 2005, quando, appena ventenne, da n. 50 Atp, Berdych fece suo il Masters Series di Parigi Bercy, sconfiggendo lungo il cammino ben cinque avversari inclusi fra i top 20: Coria (n. 7), Ferrero (n. 19), Gaudio (n. 11), Stepanek (n. 14) e Ljubicic (n. 10). Nel match clou con il croato, che si giocava ancora sulla lunga distanza, Tomas andò avanti di due set, si fece recuperare, ma riuscì a trovare la forza mentale per prevalere al quinto. Gran servizio, colpi potenti da fondo, concretezza: il suo stile sembrava quello del perfetto tennista moderno.
Ci si attendeva una rapida escalation in classifica, e invece il ceco stentò a ripetersi su quei livelli. Nell’ottobre 2006 entrò per un paio di settimane fra i top ten, ma subito ne uscì e concluse la stagione senza nemmeno un trofeo in bacheca. Anche tra 2007 e 2008 figurò brevemente fra i primi dieci, conquistò un titolo per annata, ma seguitò a deludere le attese che si erano create nei suoi confronti. Nel 2009, già 24enne, disputò una nuova stagione sotto tono, navigando sempre intorno al 20esimo posto del ranking.
Finalmente, nel 2010, qualcosa si è sbloccato e Tomas ha cominciato a ottenere risultati all’altezza delle sue potenzialità. Agli inizi di luglio, dopo la finale di Wimbledon persa con Nadal, è rientrato fra i top ten e da allora non ne è più uscito. Il suo career high è il quinto posto toccato lo scorso agosto.
Insomma, ormai da quasi quattro anni Berdych ha trovato la continuità necessaria per stazionare senza interruzioni nelle posizioni che contano. Ciò che non ha mai compiuto è lo step successivo, quello che potrebbe – o avrebbe potuto – lanciarlo nelle vette più alte. Dopo quella a Church Road, Tomas non ha più raggiunto finali Slam, né si è più imposto in un Master 1000 dall’epoca del lontano titolo parigino. Anche ai recenti Australian Open è stato abile a sfruttare un buon tabellone, qualificandosi per le semifinali grazie al successo su David Ferrer, ma, quando si è trattato di andare oltre, ecco che è giunta la sconfitta in quattro set con uno Stanislas Wawrinka sì in piena fiducia, ma obiettivamente stanco dopo la maratona vincente con Djokovic. I mezzi fisici a Tomas non sono mai mancati, a fargli difetto è sempre stato quel pizzico di fantasia e genialità in grado di fare la differenza in certi frangenti.
La vittoria a Rotterdam, comunque, può rappresentare un momento di svolta positiva nella sua annata. «Ho espresso il mio miglior tennis da tanti mesi», ha dichiarato Berdych al termine della finale con Marin Cilic. «Sono molto tranquillo, molto solido. Ho tanta fiducia nel mio gioco che sento che non mi può accadere nulla questa settimana», aveva detto invece dopo la semifinale con Ernests Gulbis.
La sfida del 2014 è provare questo feeling anche nei tornei che contano, cercando di impensierire i primissimi: ciò che finora a Tomas, suo malgrado, è riuscito solo a sprazzi. Sarà ormai tardi per la vera gloria?