Quale forma ha l’acqua? In verità l’acqua prende la forma che le viene data, perché si sostiene che non ne abbia davvero una tutta sua. Proprio come un liquido, incapace di acquisire una sola forma, il tennis di Jannik Sinner fluisce, si adegua a ogni foggia o situazione. Scorre inesorabile ignorando gli ostacoli e procede […]
28 Nov 2013 06:00 - Extra
Challenge Round. Murray-Ringo e la centralità tra i Fab Four
di Fabrizio Fidecaro
di FABRIZIO FIDECARO –
C’è stato un momento, a luglio, in cui Andy Murray aveva vinto, nei dodici mesi precedenti, la medaglia d’oro olimpica e due Slam su quattro (più una finale, mentre all’altro non aveva partecipato). Si può dire, tutto sommato legittimamente, che il britannico, a quel punto della stagione, meritasse il primo posto del ranking mondiale.
È accaduto dopo Wimbledon. Andy aveva appena conquistato il trofeo dei Championships, facendo esplodere di gioia il pubblico di casa settantasette anni dopo Fred Perry, e nei suoi risultati validi per la classifica conteggiava ancora il titolo degli US Open 2012 (su Djokovic, come a Church Road), oltre che il trionfo a cinque cerchi (su Federer). È vero che quest’ultimo gli era valso appena 750 punti, a metà tra un Master 1000 e un Atp 500, ma il suo valore assoluto andava considerato ampiamente superiore a un qualsiasi Madrid o Shanghai. Potremmo aggiungere al carniere il centro di Miami, il più ricco tra i 1000, e i successi a Brisbane e al Queen’s: inoltre, il talento di Dunblane aveva raggiunto il match clou agli Australian Open (e la semi al Masters 2012), saltando il Roland Garros per infortunio.
La seconda parte della sua stagione è stata meno fortunata, con piazzamenti al di sotto delle aspettative in Canada e a Cincinnati e l’uscita nei quarti a Flushing Meadows, che lo ha convinto a non rimandare più l’intervento alla schiena, facendolo al contempo retrocedere al numero 4, dietro a Ferrer.
Resta il fatto che, nel periodo tra l’estate 2012 e l’inizio di quella 2013, Murray ha spazzato via i suoi fantasmi, quelli che sembravano impedirgli di recitare un ruolo da protagonista nel tennis mondiale, che lo relegavano sempre a quarto e ultimo dei Fab Four, persino con il dubbio, non troppo sotterraneo, se meritasse o meno un posto tra di loro. Ebbene, Andy ha dimostrato di meritarlo, ritagliandosi uno spazio importante anche in mezzo ai tre fuoriclasse del nuovo millennio: anzi, talvolta sottraendo loro la ribalta per intonare, alla maniera di Ringo, una versione moderna di “With a little help from my friends”, con i più blasonati Roger, Rafa e Nole relegati nell’occasione al ruolo di seconde voci come capitò quasi mezzo secolo fa agli “scarafaggi” John, Paul e George. E in futuro, chissà, potrebbe cercare di strappare la chitarra dalle mani dell’Harrison di turno per guadagnare ulteriore centralità nella scena.
Contrariamente al passato, quando tendeva a smarrirsi se il gioco si faceva duro, Murray è diventato un tennista “da corsa”, uno, cioè, che si esprime al meglio negli eventi principali. Poi, magari, si concede qualche pausa più del dovuto in quelli “minori”, ed è proprio questo il motivo per cui ancora non è riuscito a issarsi in vetta al ranking. Dopo Wimbledon, per dire, era sì numero 2, ma staccato di quasi tremila punti da Djokovic, che nei Major si era imposto “solo” a Melbourne, ma che aggiungeva il Masters e, soprattutto, una ben differente continuità ad altissimi livelli.
A ogni modo, il primato in classifica sarebbe solo la ciliegina sulla torta, ma la carriera di Andy si è già trasformata da quella di uno splendido perdente a quella di un fuoriclasse in grado di centrare i suoi obiettivi. Un po’ come accadde al suo mentore Ivan Lendl, che, giusto come lui, perse le prime quattro finali Slam, per poi sbloccarsi e spiccare il volo verso la storia del tennis. Ivan, al contrario del suo allievo, non riuscì mai a cogliere l’obiettivo Wimbledon (pur sacrificandovi un’intera stagione, il 1990), ma, per il resto, arrivò a dominare la scena come pochi, ritirandosi con otto trofei Major in bacheca. Ecco, Murray è ancora ben lontano da questo, ma di certo i successi ottenuti gli hanno regalato la consapevolezza che gli mancava: nessuno può più schernirlo – come accadeva spesso sul web – per le puntuali sconfitte nei match chiave.
Guardando all’immediato futuro, il suo avvio di 2014 non si prospetta dei più semplici: appena tornato dal lungo stop, e dunque con le condizioni fisiche e gli automatismi tutti da verificare, dovrà subito difendere la finale di Melbourne, rischiando quindi, in caso di mancata conferma, un ulteriore balzo all’indietro in graduatoria. È vero che Nadal è stato fermo sette mesi e al rientro ha sbaragliato la concorrenza, ma il suo, onestamente, appare un caso più unico che raro. Staremo a vedere che cosa farà Andy: certo è che il suo approccio ai match sarà più sereno di un tempo, e questo non potrà che giovargli. La lotta per il primato, ora come ora, è una faccenda a due, con gli inseguitori a distanze abissali, ma chissà che, nel giro di qualche mese, lo scozzese non riesca ad avvicinarsi e, in prospettiva, a mettere Nole e Rafa nel mirino. In fondo, gli “amici” in grado di dargli un piccolo aiuto in tal senso, a partire da Lendl e mamma Judy, non gli mancano…