di Salvatore Sodano C’era un ragazzo che come me… amava i Beatles il Rock&Roll… e il tennis? Forse, ma scavando nel fotocatalogo dei vip, a disposizione nella banca dati, di Morandi tennista non c’è traccia. Allora? Cosa c’entra Morandi con il tennis, a parte le circostanze che spesso lo hanno visto esibirsi negli stadi del […]
Danza Serena, danza, saltella sul verde del Centre Court, tutto addobbato di fucsia il suo colore preferito. Danza, saltella, balza come fece anni fa per prima ai Championships sua sorella Venus, Improvvisa anche un pizzico di break dance per festeggiare il suo Golden Slam, il suo primo oro, anzi la sua prima medaglia olimpica in singolare, dopo i successi di Sydney e Pechino in coppia con Venus.
Ha appena battuto Maria Sharapova in un’ora e due minuti, più una mattanza che una finale, e sarebbe andata anche più veloce se non fosse che Maria prima di servire ci mette sempre un’eternità. La camionessa di Wimbledon contro quella del Roland Garros (alla sua prima Olimpiade, contro le quattro dell’avversaria): sul verde, un match senza storia. Un solo game strappato controcorrente da Masha, al minuto 45 di una finale che è stata la più breve (per game almeno) della storia olimpica del tennis: due game in meno di quella del 1920 ad Anversa, quando la Suzanne Lenglen passò sopra all’inglese Dorothy Holman perdendo tre dei quattro giochi lasciati per strada nel torneo. Sul 5-1 del secondo set lo spiritosone di turno che all’inizio di partita le aveva gridato tutto il suo amore ha provato a consolarla: «Maria, non importa, voglio sposarti lo stesso!». Risatine. Ma non da parte di Maria. Accanto alla gioia fucsia di Serena splendeva cupo il dolore viola (Spielberg, perdona) della siberiana. Nel game successivo, l’ultimo ace centrale di Serena, un bang! a 160 all’ora, è arrivato come un colpo di grazia.
«Wow, ho vinto l’oro!», gorgheggia Serena. «E’ davvero troppo, non me l’aspettavo, ero già cantenta dei miei due ori in doppio, qualche mese fa pensavo la mia carriera fosse finita (l’embolia polmonare, se ricordate, ndr), ora ho letteralmente tutto quello che si può vincere nel tennis. E visto che ho vinto tutto, me ne andrò a Dysneyworld». Buon divertimento, campionessa.
E’ finita come ci si aspettava alla vigilia del torneo, ma non come si sarebbe detto anche solo tre mesi fa. Al Roland Garros il tennis americano sembrava cenere, Serena una stella ridotta improvvisamente in polvere (rossa) dalla Razzano. A Londra invece gli yankee hanno già raccolto due ori, nel doppio maschile con i Bryan e nel singolare femminile con Serena (e pazienza se durante la premiazione è cascata la bandiera a stelle e strisce…). Con il suo Golden Slam (tutti e 4 gli Slam vinti in carriera, più l’oro olimpico) la 30enne Williams ha confermato di essere ancora, quando ne ha voglia e quando si allena, la Migliore di tutte. Non la numero 1, che è un ruolo deciso dalla costanza nel rendimento, dai punti, dalle logiche del computer, ma semplicemente la più forte di tutte le sue attuali concorrenti, oltre che una autorevolissima candidata al titolo di GOAT (Greatest Of All Time). Della sua rinascita post-Parigi va dato credito a Patrick Mouratoglou, il coach francese che evidentemente è riuscito a tenere la Panterona sul pezzo: allenamenti, fiducia, concentrazione. In campo ai Giochi si è vista una Serena addirittura più forte e determinata di quella che aveva vinto a Wimbledon un mese fa. Errori pochissime, paura nessuna. Una giocatrice semplicemente di un’altra categoria, capace di demolire la n.1 e la n.3 del mondo un giorno dopo l’altro, senza distrazioni e senza pietà. No mercy.
I suoi record e i suoi risultati del resto parlano chiaro: dopo la sconfitta a Wimbledon nel 2004 Serena ha vinto tutti i sette match con la Sharapova, quest’anno è alla 34esima vittoria in 35 match, e in carriera è arrivata a 14 trionfi su una numero uno del mondo. Divina Serena, anche se in maniera diversa, adeguata ai tempi, la degna erede della Divina Lenglen – Martina Navratilova permettendo, ovviamente.
Anche il podio nel suo complesso rappresenta bene le gerarchie attuali del tennis femminile. E’ finita (quasi) come nella ginnastica: una ballerina nera sul gradino d’oro (nella ginastica la straordinaria Gaby Douglas) e due russe come damigelle d’onore. Anzi, una russa, la Sharapova, e una bielorussa, Vika Azarenka, contenta anche lei come una Pasqua (ortodossa) dopo il successo sulla Kirilenko nel match per il bronzo. Dall’est arrivano la quantità e la scuola. A Ovest, per ora, resta l’eccellenza.