di Salvatore Sodano C’era un ragazzo che come me… amava i Beatles il Rock&Roll… e il tennis? Forse, ma scavando nel fotocatalogo dei vip, a disposizione nella banca dati, di Morandi tennista non c’è traccia. Allora? Cosa c’entra Morandi con il tennis, a parte le circostanze che spesso lo hanno visto esibirsi negli stadi del […]
Ogni vero appassionato di tennis (un po’ meno quelli di punching-ball da luna park) avrebbe desiderato vedere Roger Federer che saliva sul gradino più alto del podio londinese e riceveva la medaglia d’oro del singolare olimpico. Da anni il fenomeno di Basilea aveva dichiarato che il torneo a cinque cerchi in scena a Wimbledon sarebbe stato uno dei suoi traguardi imprescindibili: in un certo periodo vi aveva persino fissato il possibile termine della sua carriera.
Roger ci ha provato. Appena vinto il suo settimo Wimbledon e tornato numero uno del mondo, si è affacciato nuovamente a Church Road pronto a dare tutto per l’obiettivo, finora sempre mancato se eccettuiamo il doppio con Wawrinka a Pechino quattro anni or sono. L’epica semifinale con Del Potro, se ve ne fosse stato bisogno, ha sottolineato la sua voglia di abbattere ogni ostacolo, di resistere a qualunque tempesta, di arrivare fino in fondo avendo la meglio sui fortissimi avversari e anche sull’età non più verde.
Con Andy Murray, sullo stesso campo (ma indoor, almeno da un certo punto in poi), aveva vinto in quattro set appena un mese fa. Stavolta si è visto fin dai primi scambi che la storia del match sarebbe stata ben diversa. A trentun anni non si recupera più come a ventiquattro, e se Del Potro è riuscito a rimettersi in sesto e a superare Djokovic per il bronzo, Fed-Ex non ha saputo fare altrettanto.
Così, nel tripudio del Centre Court, un britannico è tornato ad aggiudicarsi, se non i Championships, almeno l’oro olimpico. Per il talento di Dunblane è il successo più prestigioso della carriera e potrebbe finalmente sbloccarlo anche in ottica Slam. Per Roger difficilmente vi saranno altre occasioni di trionfare nel tempio decoubertiniano: a Rio de Janeiro avrà trentacinque anni e sarebbe già una sorpresa trovarlo al via. Ciò nonostante, l’immagine del fuoriclasse elvetico esce da questi Giochi ulteriormente rafforzata: la classe e la grinta evidenziate di fronte a Delpo valgono più di mille spot pubblicitari per il tennis. E poco importa se poi non è giunto il lieto fine: forse sarebbe stato chiedere troppo agli dei dello sport, e talvolta le imprese non completate emozionano ancor più di quelle del tutto riuscite. I meritatissimi complimenti stavolta vanno a Murray, ma un nuovo capitolo della leggenda elvetica è stato scritto comunque.