Il legame del tennis con i Giochi Olimpici partì come un idillio, ma si trasformò ben presto in aperto dissidio, il che portò a una lunghissima separazione. Poi, il tentativo di riallacciare i rapporti, fino all’imminente edizione londinese, che si preannuncia come la migliore dalla ripresa. Così si può riassumere, in sintesi, la storia della racchetta a cinque cerchi.
Per quale motivo l’inizio fu idilliaco? Perché fra le nove discipline originali dei Giochi, quelle ammesse nella prima edizione di Atene 1896, c’era anche il tennis, ritenuto popolare a sufficienza per figurare in un ambito così prestigioso. La prima medaglia d’oro fu vinta dall’irlandese John Boland, guarda caso uno studente di mitologia greca all’Università di Dublino. Boland si era recato ad Atene in veste di semplice spettatore, ma un suo compagno di studi, il greco Thrasyvoalos Manaos, nel frattempo divenuto membro del comitato organizzatore, lo iscrisse a sua insaputa al tabellone di singolare. John fu costretto a procurarsi abbigliamento e racchette direttamente sul posto e, tra la sorpresa generale, finì per trionfare.
Fino a Parigi 1924 il torneo di tennis figurò tra le gare più importanti della manifestazione. Incoronò vincitori di gran nome come Laurie Doherty, Arthur Gore, Vinny Richards e, tra le donne, Dorothea Lambert Chambers, oltre a due tra le stelle più brillanti di tutti i tempi, la francese Suzanne Lenglen e l’americana Helen Wills Moody.
Poi, sul più bello, lo stop. Pierre de Coubertin, deus ex machina dei Giochi e presidente del CIO, riteneva che essi dovessero essere riservati ad atleti dilettanti, spinti soltanto dalla passione e non dal dio denaro. All’epoca, la questione, ormai ampiamente superata, era molto sentita, tanto che portò alla nascita di schieramenti ideologici contrapposti. Dopo una lunga disputa con la Federazione Internazionale, non trovando un accordo, il barone finì per bandire il tennis dalla sua creatura, fin da Amsterdam 1928.
Passarono la bellezza di sei decenni, senza che del tennis vi fosse traccia nella maggiore kermesse sportiva del mondo. Un controsenso, vista la sua enorme diffusione globale. La nostra disciplina riapparve timidamente sulla scena, nella veste (a dir poco offensiva) di “sport dimostrativo” solo a Los Angeles 1984, con un torneo riservato ai giovanissimi che ebbe comunque due vincitori dal futuro luminoso, il 18enne Stefan Edberg e la 15enne Steffi Graf. Da Seoul 1988, finalmente, il rientro ufficiale.
Per forza di cose, vista la lunga assenza dal programma olimpico, l’evento tennistico ha stentato a decollare. Abbiamo avuto edizioni in tono minore, con vincitori dal palmarès modesto come l’elvetico Marc Rosset (Barcellona 1992) e il cileno Nicolas Massu (Atene 2004). Nel 1988 a prevalere fu Gattone Mecir, talento straordinario mai però a segno in un Major, mentre otto anni più tardi si impose sì Andre Agassi, ma il Kid attraversava una delle sue fasi calanti (l’anno successivo, tra mille problemi privati, sarebbe uscito dai primi cento) e partecipò semplicemente perché si gareggiava negli States, ad Atlanta. Più rilevanti, senza dubbio, i successi di Yevgeny Kafelnikov a Sydney 2000 e di Rafa Nadal a Pechino 2008.
Nel singolare femminile le cose sono state diverse, soprattutto perché, almeno fino a qualche anno fa, i valori erano ben più definiti ed era arduo che un’outsider riuscisse a trovare il varco giusto. L’88 fu l’anno del Grande Slam di Steffi Graf, che vi aggiunse la ciliegina dell’oro olimpico, completando una stagione davvero irripetibile. La fuoriclasse tedesca approdò in finale anche nel 1992, ma si arrese alla sedicenne Jennifer Capriati, la quale, però, avrebbe avuto bisogno ancora di parecchio tempo per affermarsi anche negli Slam. Abbiamo avuto poi i successi di altre numero uno quali Lindsay Davenport, Venus Williams e Justine Henin, fino all’apoteosi pechinese di Elena Dementieva. La russa, già argento a Sydney 2000, ha sempre dichiarato che per lei il titolo a cinque cerchi vale più di qualsiasi altra conquista, anche a livello Major (dove, peraltro, non è mai riuscita ad affermarsi).
Ora rieccoci a Londra, che già ospitò i Giochi nel 1908 e (privi del tennis) nel 1948. I campioni della racchetta torneranno a calcare i prati di Church Road, a poche settimane dagli storici trionfi di Roger Federer (il settimo!) e Serena Williams (il quinto). Sarà proprio l’atmosfera inimitabile di Wimbledon l’asso nella manica di un’edizione che, per il nostro sport, potrebbe essere quella della svolta.
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