Ashleigh Barty ha realizzato a 25 anni il sogno di una vita. Era alla prima finale della carriera a Wimbledon, torneo che ha sempre amato e che ha desiderato fin da quando era bambina.
Per lei, aborigena prima ancora che australiana, della comunità Ngarigo, vincere sui prati inglesi nella settimana dell’orgoglio aborigeno ha un sapore forse ancor più speciale. Lei che è diventata ambasciatrice mondiale degli Ngarigo, oggi sollevava con orgoglio quel trofeo sulla terrazza più famosa del tennis.
Vincere da quelle parti vuol dire storia, vuol dire diventare immortali, e farlo onorando un’altra famosa aborigena come Evonne Goolagong nel cinquantesimo anniversario del suo primo trionfo a Wimbledon è forse quel tassello in più che aiuta a comprendere come oggi, dalla seconda metà del terzo set, sia diventato tutto più complicato. Ha vinto una gran partita, ma c’era differenza tra la brillantezza mostrata fino al 6-3 3-1 e come si sia poi difesa malgrado un servizio non più efficace e un dritto che non sempre filava più liscio come a inizio gara.
C’era tantissimo in ballo, c’erano i ricordi di una carriera in cui proprio Goolagong divenne quasi una mentore standole per prima vicina quando decise a fine 2014 di prendersi una pausa. Barty voleva far basta, nei primi giorni dopo la sua decisione, ed Evonne intervenne per liberarla dalle angosce. Non voleva spingerla a ricominciare, ma ad aiutarla a ritrovare se stessa. Questo sport è tremendo, non lo scopriamo oggi. In uno Slam una sola persona vince, su 128 al via. Una partita può durare ore.e ore, può portare allo stremo, può costringere la persona a uno sforzo enorme per arrivare 5-3 al terzo set e il rischio più grande si possa fare è pensare di avercela fatta, quando poi quel game che manca vale a livello dispendioso ancor più delle due, tre, quattro ore passate per conquistarsi quella posizione. C’è pressione, c’è fatica, c’è stress, c’è rabbia. Solo uno, o una, possono gioire. E quando Barty oggi ha messo giù l’ace, abbastanza inaspettato, per il match point ecco che tutto cominciava a riaffiorare.
Fu Casey Dellacqua, storica partner di doppio, a convincerla a fare qualche palleggio a inizio 2016. La storia è nota, e uno dei primi match che giocò nel rientro fu a quarti di finale del WTA International di Nottingham, perdendo due tie-break contro Karolina Pliskova. La stessa ritrovata oggi, dall’altra parte della rete. E dopo l’ultimo punto è partita in una esultanza molto spontanea. Ha pianto di gioia inginocchiandosi a terra, è tornata in mezzo al campo piegandosi nuovamente, coprendosi il volto e imitando Pat Rafter mentre scalava le gradinate del Centre Court per raggiungere il suo team. Lunghissimi gli abbracci al preparatore atletico che l’ha rimesa in sesto dopo l’infortunio al Roland Garros, il fidanzato a cui si è dolcemente appoggiata sulla spalla per piangere, poi coach Tyzzer, l’uomo che la sta accompagnando in giro per il mondo da inizio marzo. Non possono tornare a casa, e in compenso stanno vincendo trofei. Poi di nuovo si è bloccata durante l’intervista col trofeo in mano, e infine crollando di nuovo tra le braccia del fidanzato dopo aver parlato con i reali di Gran Bretagna e i reali del tennis, Billie Jean King e Martina Navratilova.
“Hai già parlato con tua mamma in Australia?” le ha chiesto Kate Middelton, e Barty: “Ho parlato con la mia nipotina”. “Ma che ore sono da te?”, “adesso è l’una del mattino”. “Ed era sveglia?”, “era la più euforica” ha replicato, con un enorme sorriso. Numero 1 al mondo da ormai due anni, arrivata ora a due Slam vinti e mostrandosi in questo 2021 per le sue qualità come tennista e persona fuori dal campo, estremamente semplice e umile. Ha realizzato un video documentario molto toccante per i canali social di Wimbledon dove faceva da voce narrante alle avventure di Evonne, da ragazzina aborigena del New South Wales che arrivava per la prima volta a Londra, si girava per Church Road e si chiedeva se tutto quello fosse vero. Barty raccontava, emozionata, di come Goolagong vinse nel 1971 contro ogni pronostico la finale contro Margaret Court e da lì al 1980, data dell’ultimo successo di Evonne e di un’australiana in generale, la connazionale sia arrivata almeno in semifinale in ben otto edizioni.
Quest anno fu lei, Ashleigh, a chiamarla. Evonne fu molto colpita dalla volontà di creare un completo che ne ricordasse il trionfo del 1971, si disse colma di emozione e di orgoglio che fosse proprio Barty stessa a volerlo. Aborigena come lei, ma anche ragazza che fino a non molto tempo fa non mostrava in questo modo quello che voleva. Adesso la ragazzina del Queensland, partita da Ipswich, è arrivata fino in cima all’olimpo del tennis. Numero 1 del mondo quasi mai in discussione, capace di realizzare il sogno di una vita omaggiando la propria mentore e rendendo gloria alla propria comunità nella settimana in cui gli aborigeni festeggiano la loro cultura.
Barty ha chiuso il cerchio, e quelle lacrime apparse per la prima volta sul volto sono l’immagine più bella.
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