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Jones, miracolo di volontà. All’Australian Open malgrado la grave malformazione a mani e piedi

Più le dissero che non avrebbe mai potuto farcela, più Francesca Jones ha voluto continuare a sognare che anche con tanta sfortuna avrebbe potuto sentirsi parte di uno sport che ormai come tanti punta sempre più sulla perfezione dei dettagli.

C’è chi cerca di perfezionare un dritto in base alla posizione del gomito, chi cerca gli appoggi saldi sugli spostamenti, chi calcola lo spin della palla al servizio fin dal momento in cui sente la pallina sui polpastrelli. Lei probabilmente sa che per prima di tutto ha dovuto capire se stessa e accettarsi in una condizione di svantaggio rispetto a tutti, ma lavorando su quello ha trovato il modo per lasciare tutti esterrefatti.

È un storia grandiosa, la sua. Le qualificazioni dell’Australian Open, occasionalmente a Dubai, l’hanno finalmente messa in luce. Una ragazzina, di appena 20 anni che si è presa il primo tabellone principale Slam e che farà il suo debutto nel circuito maggiore con un sensazionale 6-0 6-1 nell’ultimo turno del tabellone cadetto Jia Jing Lu, 31 anni, anche lei per la prima volta al turno finale. Al di là del nome dell’avversaria, Jones ha impressionato. E ogni volta che si presenta in campo, sfidando le leggi della natura, viene spontaneo anche per il più neutrale prendere le sue parti.

La sorte con lei ci ha visto malissimo. Il 19 settembre di 21 anni fa nasceva con una rara malformazione genetica chiamata ectrodattilia – displasia ectodermica – labiopalatoschisi (sindrome EEC) che l’ha costretta a una vita con un dito in meno in entrambe le mani, quattro dita sul piede sinistro e addirittura appena tre su quello destro. In queste condizioni, lo diceva anche lei, è abbastanza difficile rimanere in equilibrio da un lato del corpo quando ci si sporge in avanti, figurarsi sottoporsi a sforzo agonistico per diverse ore. E già a otto anni le dicevano che non ce l’avrebbe mai fatta, eppure non ha mai voluto accettare quel “no” abbastanza categorico. Non ha mai avuto la strada semplice (se così si può definire): non è stata una ribalta continua e agevole (di nuovo, se così si può definire). Jones ha avuto problemi importanti in questi anni, ha subito almeno tre interventi chirurgici legati a questa malformazione dal 2018 a ora, eppure ci siamo. Il primo passo verso una carriera che potrebbe rappresentare una svolta e un simbolo per tanti ragazzi e atleti.

Subito dopo il successo odierno c’è stata una lunga telefonata coi genitori. “Non c’è stato granché da dirsi” ha raccontato con dichiarazioni riportate sul The Guardian da Tumaini Carayol, “Tutto quello che sentivo era un lungo pianto, urla di gioia e il mio cane che abbaiava”. Jones ha lasciato casa all’età di 9 anni per trasferirsi all’accademia Sanchez Casal di Barcellona, i suoi genitori da allora la vedono solo sporadicamente e lei stessa ripensa a quanto sia stato difficile per tutti dover sacrificare tanti momenti assieme. Malgrado tutto, Jones ha sempre visto questo problema non tanto come un impedimento ma come qualcosa su cui lavorare con precisi aggiustamenti, una racchetta più leggera, un manico più piccolo: “Ho passato molto tempo in palestra cercando di rinforzare maggiormente i muscoli per bilanciare le — non voglio chiamarle mancanze — le debolezze che posso avere. Penso che chiunque, essere umano, abbia delle debolezze… a meno che tu non sia Cristiano Ronaldo o qualcosa di simile”.

Adesso l’attende un volo charter per Melbourne. Arriverà in Australia tra il 15 e il 16 gennaio e sarà chiamata a fare due settimane di quarantena. Qualcosa di molto dolce ora, sapendo che l’attenderà un assegno di almeno 100.000 dollari solo per scendere in campo durante il primo Slam del 2021. Chiaramente, una somma di gran lunga più alta di qualsiasi cosa abbia raccolto fin qui, lei che ha speso quasi tutta la sua prima parte di carriera tra gli ITF da 25.000 dollari di montepremi.

Otto dita nelle mani, sette nei piedi, ma una forza di volontà da far invidia a chiunque. “La mia sindrome è molto rara. È complicata perché ci sono molti sintomi. I dottori mi hanno detto che non potevo giocare a tennis. E la mia reazione è stata: ‘Visto che l’avete detto, vi dimostrerò che vi sbagliate’”, disse in un video diffuso dalla LTA, “Il mio corpo non è destinato ad essere quello di un’atleta, magari, ma per me questo non significa che io non possa esserlo”. E chi siamo noi per impedirlo? Anzi, ben venga. E che possa veramente essere un punto di riferimento prezioso per lo sport.

Diego Barbiani

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