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ATP e WTA assieme: sogno o follia?

Roger Federer ha sganciato la bomba, Rafael Nadal lo ha seguito e Serena Williams, pur cancellando il messaggio su Twitter, ha fatto intendere che i dialoghi ci siano veramente: ATP e WTA insieme, una base molto probabilmente per riprendersi dalla pandemia di coronavirus che sta creando enormi difficoltà.

Il mondo del tennis si troverebbe dunque, come è forse giusto e in un certo senso romantico che sia, a combattere insieme quella che è la più grande crisi sanitaria ed economica dalla fine della seconda guerra mondiale. Adesso si cerca di sopravvivere, di stare al riparo e non entrare in contatto col virus. Poi pensare a leccarsi le ferite, vedere che cosa sarà il tennis post covid-19. Ci saranno enormi problemi, è praticamente scontato: i tornei minori sono tutti a rischio, in entrambe le organizzazioni, e con essi accordi (anche pesanti) con gli sponsor. Federer ha detto una cosa obiettivamente logica, inappuntabile: è meglio far parte di un’associazione unita e che mira dunque al bene dello sport, del prodotto tennis (oltre al mero intrattenimento si parla pur sempre di un’azienda con dei conti e dei bilanci e tanti dipendenti a carico), piuttosto che avere due associazioni indebolite e in contrasto. Perché, però, fa così tanto rumore avere ATP e WTA che intavolerebbero una discussione sulla possibilità di unirsi? Perché potrebbe buttare giù muri che fino a poco fa sembravano invalicabili. L’appassionato medio forse saprà poco, non si parla di chi colpisce la pallina in campo ma si entra nel pieno della storia di questo sport dalla porta della politica. ATP e WTA, come le conosciamo oggi, esistono perché circa 50 anni fa gli uomini si sono opposti alla volontà delle donne che chiedevano di essere parte della stessa associazione senza però avere un rapporto così sbilanciato a loro sfavore nell’importanza e nella gestione. Le “Original 9” guidate da Billie Jean King che firmarono il contratto simbolico da un dollaro dando origine all’attuale WTA, consideravano loro stesse l’opzione dell’associazione tennistica interamente femminile come un “Piano B”. Queste le sue parole in una conferenza stampa alle WTA Finals del 2018: “Abbiamo lottato per anni per avere la WTA. C’è voluto tempo. Sono andata dagli uomini e ho detto loro perché non fare le cose assieme, avere una unione e un’associazione unica? Loro hanno detto “no”. Per questo noi siamo andate verso il ‘Piano B’ ed è per questo che oggi abbiamo ATP per gli uomini e WTA per le donne. Eppure penso che tutto ciò sia stato un errore”.

Da sempre esposta in difesa dei diritti delle donne, non è una figura che preme per la superiorità di un genere sull’altro ma promuove, al contrario, l’uguaglianza. La WTA, l’indipendenza tennistica delle donne, non nasce per “giustezza” perché lei stessa considera questa scelta come un errore dovuto agli sviluppi concitati del periodo (raccontava che Betty Stove, finalista a Wimbledon 1977, chiuse a chiave 50 giocatrici in un salone al Glouchester Hotel e lei, Billie Jean King, disse che nessuna sarebbe uscita da lì finché non si sarebbe votato pro o contro la creazione della WTA) ma per dare modo alle donne di poter giocare a tennis dimostrando di poter ugualmente correre. Come ripeterà nella risposta successiva, il suo sogno finale è da sempre vedere uomini e donne assieme: “Loro (gli uomini, nda) non ci vogliono, ma un giorno… non so se verrà prima che morirò o meno, ma se fossero stati intelligenti saremmo stati insieme dal day-1 così da poter gestire tra noi i 4 tornei Slam, un giorno penso che dovremmo essere tutti insieme. Penso che uomini e donne dovrebbero trovarsi insieme in molte più fasi della vita, supportarsi a vicenda e tirare fuori ognuno il meglio dall’altro perché ognuno di noi può avere grande influenza sull’altro”.

Malgrado i due circuiti siano separati da 50 anni, ci sono stati innumerevoli tentativi della WTA nel voler cercare apertura al dialogo. Di contro, i vertici del tennis maschile hanno sempre, regolarmente, sbattuto loro la porta in faccia. Anche quando nella seconda metà degli anni ’90 le tv soprattutto negli Stati Uniti pagavano di più i diritti per le partite femminili rispetto a quelle maschili, nuovo secco rifiuto. Ancora nel 2018 Billie Jean King sottolineava come da parte degli uomini ci fosse un netto “no” e senza replica. Un anno e mezzo dopo, i due giocatori più importanti del nuovo millennio aprono in maniera ufficiosa al cambio di rotta più improbabile nella cultura e nel pensiero di uno sport che ha da sempre vissuto su una grandissima divisione. Il momento storico sembra incastrare alcuni tasselli, smussare certe convinzioni rigide, dunque perché non discutere? Già aveva fatto alzare un sopracciglio la frase di Andrea Gaudenzi, neo CEO dell’ATP, di un paio di settimane fa alla stampa italiana: “Da questa crisi possono nascere opportunità enormi, una delle quali è uno spirito di collaborazione interna che poi faceva parte del mio piano di collaborazione maggiore fra ATP, WTA, ITF e Slam perché alla fine facciamo tutti parte di uno sport solo, ci rivolgiamo agli stessi fan, facciamo parte di una storia che raccontiamo insieme, anche se è uno sport molto frammentato, sia per le diverse competizioni che per i media. L’idea era cercare di aggregare il più possibile”. Forse per la prima volta un membro ufficiale del tennis maschile ha aperto alla possibilità di avere colloqui con la WTA e malgrado per tanti sia passato inosservato, probabilmente quel sasso ha smosso lo stagno “giusto”. Gaudenzi, continuando la conferenza stampa, faceva poi riferimento a come poter eventualmente rimodulare il calendario per la parte finale della stagione: “Stiamo collaborando anche con la WTA che ha uno swing asiatico molto importante”. Frasi nuove, almeno nella sostanza e nella visione di uno sport non più diviso (almeno a parole) che deve far fronte con un cambiamento radicale anche nelle abitudini di noi appassionati. Se è vero, come sostiene, che il tennis ha un enorme potenziale perché propone in maniera così forte sia maschi che femmine, dall’altro deve fare attenzione a un mondo che cambia, non soffermarsi a “litigare sulle briciole” e occuparsi di far crescere il prodotto quando questo momento sarà passato.

Due circuiti che provano a cooperare per uscire da un problema quantomai serio e grave. Sarebbe la cosa più logica, se non fosse per un continuo susseguirsi di frizioni e scivoloni pesanti. Nadal, che ora si è detto completamente favorevole alla soluzione, durante l’Australian Open neanche sapeva che Kim Clijsters di lì a due settimane sarebbe tornata a giocare, dimostrando poco interesse. Non è probabilmente un discorso che gli competeva, ma è abbastanza grave che la notizia non pare aver girato tra gli spogliatoi: si tratta pur sempre di una delle migliori giocatrici tra entrambi i circuiti degli ultimi decenni, nonché figura ben nota perché spesso presente ai tornei. Vasek Pospisil ha ringraziato Federer, Nadal e l’ATP per aver dato vita a questa idea sporcando la realtà dei fatti: è vero che loro possono aver cambiato parere e ora vogliano cooperare, ma chi ha da sempre cercato di crescere assieme è stata Billie Jean King, e semmai la trattativa dovesse andare in porto è immaginabile che sarà con determinate condizioni da parte delle donne che non dovrebbero trovarsi a recitare la parte di chi accetta a ogni condizione.

Non c’è stato un vero parere negativo tra le giocatrici. Donna Vekic, Garbine Muguruza, Belinda Bencic, Elise Mertens, Petra Kvitova, Kristina Mladenovic, Sania Mirza, Simona Halep, Bethanie Mattek Sands… Tutte d’accordo con la proposta, mentre Nicole Gibbs ha messo in risalto un chiaro: “Ed eccoci qui…” e Jamie Hampton si è chiesta che basi avesse questa improvvisa voglia di convivere: se deve essere dovuta esclusivamente al momento, con la realtà futura che sarà di nuovi contrasti e problemi pesanti non più risolvibili perché tutti sotto lo stesso tetto, allora è da pensare bene. Si conosce abbastanza poco di cosa si è discusso, se lo si è fatto, se non questo obiettivo finale. È plausibile che nessuna dirà apertamente “no”, anche perché la mossa di Federer e i commenti di Nadal e Pospisil mettono in chiaro una cosa: “noi” uomini vogliamo, se dite “no” vi siete giocati l’opportunità. Come se l’ATP non si fosse mai opposta. Per questo il percorso deve essere valutato bene. Ritornare allo scenario di 50 anni fa vorrebbe dire mandare in fumo uno dei capisaldi dell’orgoglio femminile a livello sportivo internazionale. Partendo da un dollaro, il circuito è cresciuto a dismisura fino alla spropositata cifra di 14 milioni di Prize Money per le WTA Finals di Shenzhen per cui la stessa Billie Jean King diceva: “Non sono io al timone, ma capisco che questa offerta era talmente importante da non poter fare altro che accettare”. Pur catalogando questo come caso a parte, parlando di sport al femminile abbiamo ormai le atlete tra le più pagate al mondo, alcune tra le più vincenti di ogni sport, un sistema che propone tennis femminile in egual modo a quello maschile con tornei di entrambi i generi in ogni settimana, buona visibilità e crescita continua nell’evoluzione sportiva.

Accettare l’unione con l’ATP vorrebbe dire lasciare la WTA, loro creazione, in favore di che cosa? Questo sarà un nodo importante, ed è altrettanto facile pensare a cosa punteranno nelle fila femminili: uguaglianza, la ragione per cui 50 anni fa vennero cacciate. La loro non è una macchina impeccabile e non ha i numeri che l’ATP ha avuto degli ultimi 15 anni grazie all’esplosione delle rivalità tra Federer, Nadal e Novak Djokovic, ma ha un futuro basato sulla nuova generazione con profili quantomai “pesanti” per il mercato globale, cosa che ai maschi sta un po’ scarseggiando malgrado la loro esposizione mediatica sia superiore. È facile pensare che non accetteranno mai una unione dove loro entrano dalla porta sul retro per accomodarsi in un angolo e seguire gli ordini di chi dirige. A ora i maschi vengono sempre privilegiati, è evidente: su di loro si è posata la rivoluzione della Davis Cup decisa con una votazione, per le donne un anno dopo si è emulato il format nel silenzio generale e senza avvisare nemmeno i capitani delle squadre di Fed Cup. Gli uomini hanno visto la creazione dell’ATP Cup, la stessa che finanzia anche la Laver Cup, altra idea di successo applicata però solo agli uomini. Per le donne, forse, si potrà parlare di una WTA Cup, ma anche quei dilaghi sembrano nati più per placare il fastidio delle tenniste che a Brisbane si sono trovate esiliate dal campo centrale nei primi 3 giorni di tabellone principale per far spazio agli uomini.

Ci dovrà essere la possibilità di parola, di avere voce e peso nel consiglio dei tennisti, nelle decisioni prese per il circuito e un bilanciamento decisamente migliore negli interessi e negli introiti, che includono anche l’annosa vicenda del montepremi. Al di là degli Slam e di tre Premier Mandatory, la differenza nella ripartizione dei soldi ai giocatori/giocatrici è molto alta, dettata anche (ma non solo) da una diversa ripartizione di diritti tv, problema che potrebbe livellarsi se nell’eventualità di un’unica associazione verrà modificata la nomenclatura dei tornei rendendola unica, con un unico logo e una maggiore fruibilità online dove ora bisogna districarsi per trovare informazioni. Ci sono aspetti positivi nell’eventualità di una unione improvvisamente ben vista da (quasi) tutti, ci sono però anche tanti aspetti da lavorare e limare. Le trattative non sono mai facili: proposte, controproposte, giochi al rialzo e prese di posizione. Questa non solo può essere delicata, ma può anche avere un significato capitale per il nostro sport. Ripensandoci, oltretutto, tra i ricordi speciali di questi anni c’è stato il crossover più grande di sempre: Federer (e Bencic) contro Serena e (e Frances Tiafoe) nell’ultima edizione della Hopman Cup. Se adesso c’è davvero la volontà di unire i due fronti servirà una radicale rivoluzione nell’atteggiamento soprattutto degli uomini. Il 1970 non è lontano e forse non è mai sparito se ancora nel 2019 un torneo come il Roland Garros programmava una doppia sessione per le semifinali maschili che ha obbligato a posizionare le semifinali femminili a metà mattina sui campi secondari: la sfida tra Marketa Vondrousova e Johanna Konta era sul terzo campo, con a dir molto un centinaio di spettatori che hanno avuto accesso pagando un biglietto ground dal valore minimo di 15 dollari. Se c’è una decisione da prendere, molto spesso gli equilibri si spezzano a favore dell’ATP. Per questo alle donne un’unione può forse andar bene, ma che sia fatta senza rimetterci l’anima.

Diego Barbiani

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