Non ha mai dato l’impressione di essere quello dello scorso anno, non aveva mai recuperato uno svantaggio di due set a uno in una finale Slam, a fine terzo set sembrava in tale difficoltà fisica da far temere il ritiro. Invece tutto risolto con una facilità disarmante, considerate le premesse. Si potrebbe considerare il tutto un bicchiere mezzo vuoto, un Djokovic poco ispirato che ha vinto per le fortuite coincidenze di un Federer non in grado di competere al massimo e un Thiem frenato dalla paura di vincere. Ma la realtà non ha opinioni e considera esclusivamente il bicchiere mezzo pieno. Che per forza di cose è allo stesso tempo anche mezzo vuoto, eppure molto più pieno di quello degli avversari. Sul cemento Djokovic non è il n.1, ma tutto il podio.
È senza dubbio colui che più di ogni altro si sta ribellando alla (giustificata) nomea dei pretendenti al trono trino e sta continuamente migliorando se stesso, il proprio gioco e le proprie ambizioni. Dal 2016 ha battuto almeno un Big Three ogni stagione (nel 2019 ha fatto en plein) e ha alzato progressivamente l’asticella delle sue performance Slam: prima due semifinali da comparsa, poi una finale, poi una finale giocata alla pari per due set, infine domenica. Ma tutto questo non basta, a lui in primis. Le difficoltà psicologiche nell’ammazzare la partita si erano palesate già con Nadal e sono esplose nella lenta ma continua perdita d’inerzia dalla palla break non sfruttata (per meriti di Djokovic) a inizio quarto set. Ha ancora tutto il tempo per trovare la consacrazione, ma finora rimane, come alternativa ai cannibali, una versione meno romantica, affascinante, dotata e vincente di Murray.
A Melbourne spesso Rafa è costretto ad accettare nuove, inesplorate realtà negative. Rimanendo al recente passato, nel 2017 perse con Federer dopo essere stato avanti di un break nel quinto e nel 2019 assaggiò l’inedito gusto del non vincere nemmeno un set in una finale major. Stavolta ha perso un match cedendo tre tie-break su tre giocati, oltretutto dopo non aver sfruttato diverse chance nei primi due set. Se il Nadal americano si è scoperto una corazzata, quello australiano vive tuttora di quell’unico, abbacinante ricordo del 2009.
Una carriera ad abituarci a rosari di match point falliti, dieci giorni per stupirci con match point (e non solo) salvati. La nota dolente riguarda i nomi degli avversari, dolente perché sottolinea età e condizione fisica dello svizzero. Il tie-break finale con Millman e la Via Crucis con Sandgren hanno avuto dell’eroico e del commovente, nascondendo l’evidenza di un torneo mediocre, terminato in semifinale solo per un tabellone 250.
Finalmente uno Slam giocato con mentalità Slam. La facilità con cui si è sbarazzato di Verdasco, Rublev e (primo set a parte) Wawrinka, fa ben sperare che il tedesco sia pronto per prospettive più ampie. Ha perso la semifinale con Thiem per chiaro dislivello di maturità a favore dell’austriaco, ma presto gli equilibri, tra i due e non solo, potrebbero essere tutt’altri.
Con Wawrinka, soprattutto in Australia, si può perdere, ma non dopo il percorso iniziato nell’estate americana. Rimandato a nuovi esami.
A proposito di percorsi iniziati e qui bruscamente interrotti. Dopo la semifinale dello scorso anno, ha vinto quattro partite in quattro Slam. Il grande sconfitto del torneo.
Ormai si vede solo a Melbourne e Wimbledon, ma il cartellino lo timbra con dignitosa puntualità. Lasciare le briciole a Tsitsipas e Cilic significa stato di salute e convinzione alto, che lascia ben sperare per il resto di stagione. Ha perso in tre con Djokovic per il solo fatto che con Djokovic perderà sempre in tre.
Doveva essere il torneo della conferma, è stato quello di una pausa. Che fa bene, benissimo, purché sia di riflessione. Le sconfitte di Berrettini e Sinner hanno tutte le giustificazioni del caso, ma questo non deve essere preso come alibi per uscite che sono state premature e che non dovevano esserlo. Il rammarico per Fognini è invece l’aver perso una partita alla sua portata e che lo avrebbe messo in condizione di giocare contro un Federer non al meglio.
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