Le magliette le compra dall’amico negoziante. Anche le scarpe, di buona marca, firmate da una multinazionale statunitense dell’abbigliamento sportivo che per un po’ lo tenne con sé. Una volta un collega, per scherzo, gli chiese perché non si comprasse l’intera azienda, invece che un capo alla volta.
Era una battuta, ma non lo fu la sua risposta. «Dovrei fare due conti…». Ernie le Falot, lo chiamavano a Parigi nell’anno della semifinale alla Porte d’Auteuil, era il 2014. Falot, falotico nella nostra lingua, è l’uomo stravagante, balzano. Lui lo è a pieno titolo. Ma ama dirlo con le giuste parole… «Non sono strano. Non esattamente. Ho appena una sopportabile inclinazione per le cose stupide».
A trentun anni, tredici di circuito, una breve permanenza nella top ten (sempre il 2014), due vittorie su Federer in cinque incontri, e tre tentativi di risalita dalle profondità di una vita sportiva dedita allo spreco su scala industriale del suo talento cristallino, Ernests Gulbis, continua a essere più noto come il figlio del gasdotto. Quello più grande che vi sia, intendiamo: il “siberiano”.
Papà Ainars ne è l’azionista di riferimento, da sempre. I bene informati sussurrano che ogni santo giorno il gas spinga nelle tasche della famiglia “più paperona” di Riga, Lettonia, un congruo sostegno da un milione di euro. Vero o no, è un fatto: Ernie gira per i challenger dove intende rimediare i punti per rientrare nei primi cento, a Orleans piuttosto che a Mouilleron-le-Captif (due fra gli ultimi giocati), con l’aereo personale. Uno dell’incredibile hangar di famiglia, dal quale già una ventina di anni fa, partiva due volte a settimana un jet in direzione di Monaco di Baviera, per prelevare coach Nikki Pilic e portarlo a casa Gulbis, dove il piccolo Ernie lo aspettava per la consueta lezione di tennis.
Ora il coach è Gunther Bresnik. Lo era stato anche prima, poi si era accasato con Dominic Thiem e aveva mandato a spasso Ernests. Finita la liaison è corso a riprenderselo. «È il tennista più ricco di talento che abbia mai allenato. Ora che gli è tornata voglia di giocare lo sostengo con piacere, credo meriti di tornare nei primi cento. Anzi, per il livello di tennis che sa esprimere credo possa valere già oggi un posto fra i primi venti o trenta». Parole pronunciate con convinzione. Scivolato al numero 256 Atp (era 70 sei mesi fa, ma 589 nel 2017…) Gulbis si è iscritto alle qualificazioni di questo Slam, le ha passate, poi ha battuto Augier-Aliassime (numero 22) e ieri Bedene, che gli ha resistito finché ha retto la schiena. Il prossimo è Monfils, che lo ha battuto tre volte, ma Ernie ha una massima per ogni occasione e ha spiegato che lui non è tipo da vivere nel passato, e nemmeno nel futuro, «ma solo nel presente», dunque i conti andranno fatti con il tennis che ha a disposizione oggi, e se andrà male, c’è sempre un biglietto di first class che lo attende per riportarlo in Europa.
Stramberia per stramberia, una nota tricolore l’ha aggiunta il nostro tennis, portando in terzo turno una Camila Giorgi che raramente avevamo visto giocare così bene. Il dato è incoraggiante, perché anche ora che la nostra furia bionda annaspa sui bassi fondali della classifica (al numero 102), tutto il circuito resta convinto che, se mai le dovessero capitare quindici giorni in grande spolvero, lei potrebbe ancora vincere contro chiunque. Ieri si è avventata su Svetlana Kuznetsova, un tempo numero due e vincitrice di due Slam. E chi è la Kuznetsova? «Non lo so, non la conosco, mai vista giocare… Ma lo sapete, io il tennis lo seguo poco, e nel caso solo quello maschile». Prossima avversaria, la Kerber. Ti ha sempre battuto, Camila, cosa pensi di fare? «Non so… Ma se gioco come oggi non le faccio toccare palla». Peccato non si siano incontrati Ernests e Camila. Sarebbero stati perfetti, l’uno per l’altra.
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