Rivoluzione Dunlop

Quando il mio amico Bobby gioca a tennis…

Cavolo, è cominciata! Spesso inizia così, quando mi rendo conto di essere in ritardo: Bobby ha scelto di servire ed è già avanti 30-0. La partita comincia a prendere forma e io rollo la prima sigaretta facendo cadere il tabacco sul divano mentre la mia dolce metà mi guarda minacciosa, leggo il suo pensiero: “ieri ho pulito tutta casa, stai facendo cadere il tabacco, lasci sempre le cartine in giro, hai rotto le palle”. Può bastare. Bobby è stato “brekkato” dal suo avversario, i problemi relativi a tutto ciò che occorre per fumare possono attendere. 

 

«Cmooon Bobby!», urlo. La mia ragazza mi guarda basita, leggo il suo pensiero ma stavolta me lo tengo per me, è meglio. La partita continua, muovo la gamba destra nervosamente come se quel semplice gesto possa servire a qualcosa – ma certo! Energia eolica, sprigiono energia che esce dalla finestra, vince lo smog di Milano per arrivare a Budapest, Recanati, Houston o dovunque sia la location del torneo. No, forse è impossibile… Anche se dovrei chiedere a Bobby se a volte percepisce una strana energia sul suo bellissimo completo K-Swiss… 

Ma andiamo avanti, Bobby prima ha salvato due set point, poi ha recuperato il break. Siamo 5 pari. «Cmooon Bobby!», urlo «Cmooon!» stringendo il pugno e guardando lo schermo del mio pc in cagnesco. La mia ragazza scuote la testa e con lei la nostra amica e vicina di casa con cui abbiamo in programma di uscire per un aperitivo in un posto a Milano dove fanno cucina romana. Accennano una risata, la nostra amica chiede cosa stia succedendo, io non ascolto e realizzo la domanda solo dopo la risposta della mia ragazza: «gioca Bobby». Perché è sempre così quando il mio amico Bobby gioca a tennis… ma in fondo che c’è di male nell’urlare tra le intime mura di casa?

Bobby ha portato a casa il primo set 7-5. Momento giusto per fare il disinvolto e mettermi una maglietta e un paio di pantaloni mentre le mie due compagne di aperitivo mi aspettano nel cortile del palazzo leggermente stizzite per l’attesa. Io le aspetto spesso, questo è il mio alibi mentale, lo porto avanti con spavalderia. Ora camminiamo verso il tram, tengo l’iPhone tra i miei occhi e gli ostacoli cittadini. Il tempo passa, il secondo set è in equilibrio: 3-2. Fluttuo sul tram senza perdere di vista lo schermo, Bobby sbaglia un dritto facile, bofonchio qualcosa, mi rendo conto che le persone attorno a me fanno caso alla mia esuberanza ma, allo stesso tempo, mi rendo anche conto che non me ne importa poi tanto. «Cmooon Bobby!», osservo ad alta voce. Ma era una semplice osservazione, a mio avviso ammessa anche sul tram. Il secondo set alla fine finisce 7-6 per l’altro. 

Scendiamo dal tram, ne aspettiamo un altro. Arriva. Saliamo. Non trovo posto a sedere. Rimango in piedi aggrovigliato a uno dei sostegni cercando una posizione che mi permetta di non cadere, sopravvivere e vedermi il set decisivo dei quarti di finale del Challenger. Bobby viene brekkato ma non ci perdiamo d’animo, né io né lui. Continua a spingere con il rovescio, vince qualche punto, ne perde qualche altro fino a quando ne vince qualcuno in più e riporta la situazione in parità. L’accaduto merita un’esultanza adeguata: «Cmooon Bobby! Cmooon!». Scendiamo dal tram, vorrei aggiornare tutti i passanti del contro-break, evito, saggia decisione. 

Si va al tie-break. Supplì alla mia sinistra, telefono alla mia destra seguo ogni punto venendo rimproverato per la mia assenza nella “socialità” dell’aperitivo. Nemmeno il tempo di rispondere che Bobby salva un match point e alla prima occasione mette la parola fine alla partita. 7-5 6-7 7-6. E allora… «Cmooon Bobby! Cmooon!».

Il giorno dopo siamo in Liguria, al mare. Bella giornata tra bagni e lettini con l’obiettivo giornaliero mai raggiunto di trovare le parole crociate. In ogni caso ecco le 19. L’ora della semifinale. Evito la seconda cronaca dettagliata del mio pomeriggio, mi limito a ricordare i momenti salienti. Vittoria 7-5 del secondo set di Bobby dopo aver perso il primo e aver salvato quattro match point sul 5-4. Mi trovavo ai tavoli dello stabilimento a vedere la partita con il telefono della mia amica perchè la mia compagnia telefonica non ne voleva sapere di regalarmi mezza tacca: diciamo che ho esultato a dovere!

Poi via verso Savona con il terzo set che avanzava. Il momento in cui Bobby ha chiuso la partita al tie-break eravamo seduti ai tavoli di un locale sul porticciolo. Il video saltava, non ero proprio contento della cosa. Ricaricavo la pagina per vedere Bobby o il suo avversario immobilizzarsi e iniziavo a domandarmi, studiando la posizione della palla in relazione ai loro corpi, chi avesse vinto quel punto. Ricaricavo la pagina. Si bloccava. Ricaricavo di nuovo. Ed ecco il punto decisivo, il secondo match point: partita chiusa. Bobby in finale!

Quella finale poi, il giorno dopo, Bobby l’ha persa. Eravamo stanchi. Entrambi. Io addirittura avevo la febbre, non riuscivo a supportare a dovere la situazione. Qualche timido “Cmooon” associato a tutti quei dolori tipici dell’influenza/freddata estiva. Niente energia eolica, niente sigarette. Una sconfitta in finale ma un altro grande torneo. 

Avevo promesso al mio amico Bobby che avrei spiegato come vivo le sue partite. Sarà lui il primo a leggere queste parole forse frivole e inutili. In ogni caso sto pensando seriamente di uscirne perché, calcolatrice alla mano, questo scherzetto mi costa più in connessione dati e tabacco che nella fornitura annuale di materiale tecnico. Ma magari aspetto ancora qualche altro torneo… Ma sì, aspetterò ancora un po’.

Jason D'Alessandro

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