L’ultimo farfugliamento regolamentare arriva da Melbourne, dove fra poco più di un mese ripartirà il circo del tennis
di Stefano Semeraro
Più che gesti bianchi, ormai, sono gesti confusi. L’ultimo farfugliamento regolamentare arriva da Melbourne, dove fra poco più di un mese ripartirà il circo del tennis. Anche gli Australian Open hanno deciso di accoltellare la tradizione inserendo il tie-break nel 5° set, ma sarà un Super-Tiebreak, nel quale si vince arrivando a 10 punti invece che a 7. Risultato: avremo un formato diverso per ciascuno dei quattro tornei dello Slam.
Agli Us Open infatti il tie-break al 5° set (sul 6 pari, con punteggio classico) esiste dagli anni 70. A Wimbledon dal 2019 lo si giocherà con il punteggio classico (7 punti) ma sul 12 pari, mentre al Roland Garros, per ora, al 5° set si continuerà a oltranza come ai cari, vecchi tempi.
Poi c’è il resto. Sempre da gennaio l’Itf farà partire il suo ‘transition tour’, un circuito dentro il circuito pensato per oliare il difficile passaggio fra tornei giovanili e mondo pro. Il problema è che il meccanismo prevede una complessa classifica parallela – l’Itf Entry Point – che si aggiungerà così al ranking mondiale e alla Race, la classifica ‘di servizio’ che somma solo i punti ottenuti nell’anno solare. Iniziate a perdere il filo, vero? Animo, che non è mica finita.
Fra 2019 e 2020 il tennis si ritroverà con due campionati del mondo a squadre concorrenti: la vecchi Coppa Davis, ma snaturata dalla rivoluzione voluta dall’Itf e dal Kosmos Group di Gerard Pique (che ci mette il grano), e l’Atp Cup, che si svolgerà a inizio stagione in tre città australiane. Nadal dovrebbe partecipare alla Davis, le cui finali saranno ospitate da Madrid; Djokovic sostiene l’Atp Cup, mentre a Federer sta soprattutto a cuore la Laver Cup, la ricca esibizione che copia la formula della Ryder Cup del golf e della quale è anche organizzatore, insieme con la federazione australiana, quella statunitense e il miliardario brasiliano Lemann. Direttore della Davis, fra l’altro, è stato nominato Albert Costa, che però per conto dell’Atp – ora in piena guerra con l’Itf – è già direttore del torneo di Barcellona, mentre la federazione australiana, che fa parte dell’Itf ma è contraria alla ‘nuova’ Davis, organizzerà l’Atp Cup a fianco del teorico ‘nemico’. Chi ci capisce qualcosa è bravo. Il tutto in uno sport già governato da quattro sigle diverse in lotta fra loro – Itf, Atp, Wta e Grand Slam board – che si gioca all’aperto e al chiuso, e per giunta su quattro superfici diverse, terra, erba, cemento e sintetico. Il tennis, è vero, ha sempre coltivato la propria diversità – il bianco, il silenzio, il fair-play… – ma ora rischia seriamente di diventare diverso da se stesso, e finire a brandelli come la boxe, annegata nelle sigle e nello sconcerto del pubblico. Specie quando, purtroppo fra non molto, verrà a mancare il meraviglioso glutine fornito da Federer & Co.
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