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Federer, la terra e poi…

L’ufficialità non c’è ancora, non per ritrosia o altro, ma perchè con ogni probabilità nemmeno lui sa ancora cosa vuole fare “da grande”, ma fatto sta che l’Australian Open, la Rod Laver Arena e i suoi tifosi potrebbero avere assistito per l’ultima volta ad un incontro di Roger Federer sulla loro terra, dopo la sconfitta agli ottavi con Tsitsipas. Non siamo ancora al “Federer was here”, magari scritto con un coltellino per segnare il proprio passaggio, ma insomma, è chiaro a tutti che siamo ai titoli di coda. E stavolta, a differenza di altre, non ci saranno grandi ritorni.

O almeno: forse, chissà, ci sarà l’ultimo colpo di coda, una serie di circostanze più o meno favorevoli, magari “Una botta del suddetto culo”, per dirla alla Paolo Villaggio, ma niente a che vedere con quello che è stato il 2017, tanto per essere chiari.

Ci sta, ci mancherebbe, ma è evidente che qualcosa non va. Il fisico che non regge più le fatiche continue del genio, i tempi di recupero che diventano ormai infiniti, quella mano che (forse anche contro Tsitsipas) non vuole saperne di rispondere ai voleri del padrone e fa le bozze (giocare senza dritto non deve essere piacevole), mandando degli input più o meno dolorosi o palesando insensibilità, quasi fosse un corpo estraneo. Non si sa, non è dato saperlo, anche perchè Roger è sicuramente restio a parlarne, ma è chiarissimo, evidente, che qualcosa che non va c’è.

E dopotutto, signori, dopo il trionfale Australian Open 2018, sono arrivati un quarto di finale a Wimbledon, un ottavo (perso in maniera oscena) a New York e ora un ottavo a Melbourne. Tra l’altro, tutte sconfitte straevitabili, contro avversari non irresistibili. Certo, c’è Stefanos Tsitsipas, nemmeno 20 anni, un pò come avvenne a Roger contro Pete Sampras a Wimbledon. Passaggio di consegne? Presto per dirlo, troppo presto.

Giudizio personale: nel gioco, nemmeno per idea, per quanto bravo sia il greco. Chi scrive è abbastanza anziano dal ricordare il bagliore di quella partita sul Centrale del 2001, e onestamente… no, proprio no. Ma certo è che è un segnale. Certamente, piano piano (un pò troppo piano) la nuova generazione sta venendo su, anche se i primi due del mondo sono ancora saldamente i favoriti per rincontrarsi in finale domenica prossima. Parliamo, ovviamente, di Nadal e Djokovic.

Detto questo, ci troviamo alla domenica di mezzo senza più Federer e con un Murray che si è praticamente ritirato, con un Wawrinka che ha più acciacchi che altro e con un tabellone dove comunque, una volta tanto, i giovanissimi ci sono. Se il muro di contenimento della vecchia guardia non è crollato, poco, molto poco, ci manca.

Tornando allo svizzero, non ha trovato scuse, ha detto “bravo” a Tsitsipas e ha cincischiato un pò quando gli si parlava di cambio della guardia. Non ha accennato a dolori alla mano, ma ha detto che gioca sulla terra.

E giocare sulla terra, dopo anni di assenza, vuol dire che siamo alla passerella finale. O quantomeno, il vestito buono per i saluti è già stato ritirato dalla tintoria. Non sa come risponderà il suo fisico, la sua mano, il tutto, da qui in avanti. Diciamo che è una “precauzione”. Se poi questo vuol dire saluti finali, chi lo sa. Intanto, magari, qualche fazzoletto di carta (o mettere in ghiaccio la bottiglia di champagne, per i suoi detrattori) iniziamo a metterlo da parte pure noi. Non si sa mai.

Luigi Ansaloni

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Luigi Ansaloni

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