Federer b. K.Anderson 6-4 6-3
Calcoli, variabili, combinazioni… Sono cose non gradite agli occhi di Roger Federer, bisognoso di cinque soli game per accedere alle semifinali come secondo classificato, ma sceso in campo con la voglia di vincere, senza se e senza ma. Ha provato, invano, a controbattere questa convinzione l’uomo del momento del gruppo B, Kevin Anderson, rimediando una sonora lezione tattica e vedendosi sfilare la testa del girone.
Parte forte lo svizzero, tenendo a zero due giochi e lasciando intravedere quella che di fatto è la ricetta perfetta per battere il sudafricano: punti rapidi, colpi mai uguali, buone percentuali al servizio, con una predilizione nella ricerca del rovescio di Anderson quando va con la seconda. Oltre ciò, riesce a rispondere molto spesso, certo, nei limiti e quando l’altro non scaglia vere e proprie fucilate, ma nonostante ciò, vige l’equilibrio per metà parziale, fino a quando Roger, tradito dalla prima, scivola 0-30, ma riesce a risalire la corrente, nel sesto game. Mentre stessa cosa non si può dire per il collega, che si fa brekkare subito dopo, anche e soprattutto a causa di due madornali doppi falli. Ecco, però, un passo indietro nel ritratto doc che finora aveva dipinto l’elvetico, uno dei suoi soliti cali di concentrazione, forse, che nell’ottavo gioco gli costano l’immediato contro-break. Fortunatamente per lui, per quanto scenica, questa parte di set è anche la sagra degli errori e, tra meriti e demeriti, riesce a ri-strappare la battuta ad Anderson e, stavolta, chiudere 6-4.
Essere in vantaggio nell’incontro e con la qualificazione in saccoccia è un toccasana ulteriore per Federer, che gioca palesemente a briglie più sciolte, spinge qualche volta in più, un paio di magie degne di nota le infila negli highlights anche stasera, ma non affonda…e nemmeno subisce, però. Perché il buon Kevin martella, sì, al servizio, ma in risposta è praticamente nullo e, dalla prima pallina all’ultima del secondo set, non riesce a trovare la chiave di volta per combinare qualcosa: se forza, sbaglia, se rimanda di là si becca o l’accelerazione di dritto, o una soluzione lenta e col taglio sotto che lo fa svirgolare. Roger avverte il momento propizio, sente l’odore del sangue e, con un back che atterra sull’ultimo centimetro di riga, induce all’errore Anderson e si prende un break mai più recuperato (anzi, bissato), una vittoria voluta, cercata e conquistata con sapienza, calma e bel gioco. Eh già, perché una cosa dobbiamo dirla di questo Round Robin di Federer, e cioè che è stato un continuo power up, un costante evolversi. Dal disastro contro Nishikori, passando alla sufficienza contro Thiem, finendo coi positivissimi segnali di oggi. E se quindi è questo il suo destino, non ci resta che vedere dove quest’evoluzione porterà.
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