Lo US Open ha emesso verdetti importanti e dalle diverse conseguenza che, in ogni caso, danno nuova linfa vitale in un momento in cui si teme l’abdicazione, prima o poi inevitabile, della gloriosa vecchia guardia.
Tutto questo, sempre in attesa che la New Generation arrivi a un livello tale da liberare nuove adeguate pulsioni in chi ama questo sport.
Novak Djokovic ha compiuto un miracolo. Era difficile poter immaginare che dopo la sconfitta nei quarti di finale del Roland Garros contro Marco Cecchinato riuscisse così velocemente a ritrovare uno stato di forma vicino ai suoi migliori livelli al punto di vincere di seguito Wimbledon e US Open. Con l’impresa di ieri il tennista serbo conquista per la terza volta lo Slam americano ed eguaglia Pete Sampras con 14 Slam vinti complessivamente in 23 finali disputate:
Djokovic torna sul podio mondiale scavalcando Juan Martin del Potro al terzo posto. Si torna così ad un passato che non si verificava dal 23 marzo 2015 (41 mesi fa!) con Rafael Nadal, Roger Federer e Novak Djokovic sui primi tre gradini della classifica. In quella primavera, a guidare il gruppo c’era il serbo, seguito dallo svizzero e poi dallo spagnolo.
Il prossimo obiettivo del serbo sarà l’assalto alla leadership mondiale nella fase finale della stagione. Non ha punti da difendere essendosi fermato lo scorso anno dopo Wimbledon, a causa dell’infortunio al gomito. Nella Race occupa da oggi la seconda posizione a 1435 punti da Nadal. Lo spagnolo da qui al Master di Londra ha da difendere 1280 punti e probabilmente sarà costretto, a causa dell’infortunio che lo ha costretto al ritiro contro del Potro in semifinale, a saltare almeno in parte la parentesi asiatica dove lo scorso anno tra Pechino e Shangai portò a casa 1100 punti.
Juan Martin Del Potro è ora quarto ma ha confermato di essere ormai stabilmente tornato ai massimi livelli. Il tennis ha bisogno di lui, del suo ardore, del suo cuore, della sua grande correttezza come ha dimostrato l’entusiasmo che ha saputo generare questa settimana. Ha riassaporato il gusto di una finale Slam dopo 9 anni dal successo newyorkese e non è detto che non possa avere altre chanches.
Il ritorno di Djokovic è stato tra i temi principali dello US Open come l’uscita, prematura e totalmente inaspettata, di Roger Federer negli ottavi di finale contro l’australiano John Millman, numero 55 ATP. Non gli era mai successo agli US Open di perdere contro un avversario fuori dai primi 50 del mondo e complessivamente negli Slam era accaduto una sola volta in 127 occasioni, contro Sergiy Stakhovsky a Wimbledon 2013. Di seguito le sconfitte più clamorose del tennista svizzero da quando vinse il suo primo Slam a Wimbledon 2003
Si è aperto un dibattito sulla possibilità che la sconfitta contro Millman che fa seguito a quelle di Wimbledon contro Kevin Anderson e Cincinnati proprio contro Djokovic, possano forse essere un’indicazione di un declino che sarebbe comunque inevitabile. In ogni caso la dinastia dei Fab Four (oggi ridotti a 3 in attesa che risorga anche Murray) continua imperterrita. Anche quest’anno i quattro Slam se li sono spartiti Federer (Australia), Nadal (Parigi), e Djokovic (Wimbledon e Us Open) allungando così una striscia che dura da due anni
Colpisce il dato riguardante l’età dei vincitorii, tutti over-30 ma anche degli altri finalisti che, ad eccezione di Dominic Thiem sono tutti over-29: l’età media complessivi dei finalisti è di 31,2 anni, la più alta mai registrata nei tornei dello Slam nell’Era Open.
Altri numeri del torneo maschile:
11 – le semifinali consecutive giocate da Djokovic a partire dal 2007 (assente nel 2017). Il record è di Connors (14).
13 – la posizione in classifica di Fognini che nonostante la mediocrità del torneo disputato uguaglia dopo 4 anni il suo best ranking.il
13 – i ritiri nel torneo maschile. Il record risale al 2015 quando furono 14 .
70 – i tornei vinti in carriera da Djokovic
4h48m– la durata del match più lungo del torneo tra Nadal e Thiem nei quarti di finale. La partita più lunga giocata agli US Open nell’Era Open fu la semifinale del 1992 vinta da Edberg su Chang che durò 5h26m.
Torneo femminile
Lo Slam americano sancisce l’ingresso nell’Olimpo del tennis femminile di una nuova stella: Naomi Osaka (classe 1997). Si era parlato già di lei a inizio stagione quando, da numero 44 del mondo, a sorpresa dominò la scena al Premier Mandatory di Indian Wells sfoderando un tennis esplosivo accompagnato da una lucidità mentale da veterana che le consentì di spazzare via in sequenza Maria Sharapova, Agnieszka Radwanska, Sachia Vichery, Maria Sakkari, Karolina Pliskova, la numero 1 WTA Simona Halep e Daria Kasaktina. Fu il primo successo in carriera della tennista giapponese tra circuito junior, ITF e WTA ed era rimasto tale fino alla vigilia dello US Open nel quale si è ripetuta ottenendo una vittoria storica per il suo paese dove mai nessun tennista, tra uomini e donne, aveva mai trionfato in uno Slam.
Osaka ha lasciato alle avversaria le briciole: 7 game complessivamente nei primi 3 turni contro Laura Siegemund, Julia Glushko e Aliaksandra Sasnovich, un’unica asperità (peraltro attesa) negli ottavi contro Aryna Sabalenka altra attesa protagonista dei prossimi anni cui ha lasciato l’unico set perso in tutto il torneo, e un finale in crescendo contro Lesia Tsurenko (6-1 6-1), Madison Keys (6-2 6-4) prima dell’apoteosi finale al cospetto del suo idolo Serena Williams. L’ex numero 1 del mondo è stata battuta sul piano della potenza accompagnata da un killer instict che le hanno consentito di vincere (6-2 6-4) mettendo a nudo i limiti attuali della tennista americana che ha così mancato la seconda occasione, dopo quella a Wimbledon, di eguagliare il record di 24 titoli Slam in singolare di Margareth Court. Con questo risultato Osaka irrompe nella top-10 issandosi al settimo posto e diventando la seconda tennista della classe ’97 femminile presente attualmente tra le migliori 10 del ranking WTA insieme alla lettone Jelena Ostapenko, retrocessa nel frattempo al numero 10.
Il risultato di ieri segna anche un nuovo record per l’Era Open. Gli otto Slam disputati nelle ultime due stagioni sono stati vinti da otto tenniste diverse
Occorre risalire alle annate 1937-1938 per trovare una sequenza analoga che in quella circostanza si allungò fino agli Australian Open dell’anno successivo
Altri numeri del torneo femminile:
3 – le edizioni nelle quali nessuna delle prime 4 teste di serie è giunta in semifinale: 2004-2017 e 2018. Quest’anno la testa di serie meglio classificata tra quelle approdate in semifinale è stata Keys, numero 14. A Seguire Serena Williams (16), Anastasija Sevastova (19) e Osaka (20).
6 – le volte in cui nell’Era Open la testa di serie numero 1 è stata eliminata al primo turno in uno Slam
13 – le palle break avute da Keys in semifinale, tutte annullate dalla Osaka .
19 – la classifica di Osaka alla vigilia del torneo.
20 – le presenze di Venus Williams agli US Open, a un passo da Martina Navratilova che si fermò a 21.
20 – la testa di serie assegnata alla Osaka. Solo una volta il torneo è stato vinto da una testa di serie con una classifica più bassa: ci riuscì Flavia Pennetta nel 2015 da numero 26 del seeding.
56 – le tenniste ad aver vinto almeno una volta gli US Open.
94 – le vittorie di tenniste americane in 132 edizioni disputate.
Degli italiani avevamo già parlato la scorsa settimana in quanto purtroppo il loro torneo si era già concluso (flop azzurro agli Us Open).
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