Nel luglio scorso, sul Centre Court di Wimbledon, Novak Djokovic è tornato a vincere uno Slam a poco più di due anni dall’ultimo major conquistato a Parigi nel 2016. Due mesi, un Career Golden Masters ed uno US Open dopo, la sensazione è che Djoker sia pronto a dominare nuovamente – ed in maniera incontrastata – la scena tennistica dei prossimi tempi.
Uno scenario insospettabile, come ammesso dallo stesso giocatore, se solo riavvolgiamo il nastro a qualche mese fa, quando, al termine della rocambolesca sconfitta patita al Roland Garros per mano di Marco Cecchinato, il serbo aveva messo in dubbio l’intera stagione su erba. Da vero campione, Djokovic è riuscito a trovare dentro di sé quella scintilla che mancava da troppo tempo e che gli ha permesso, da Londra in poi, di costruirsi nuovi obiettivi da raggiungere.
Difficile scindere la palingenesi del fuoriclasse di Belgrado dal ricongiungimento di quest’ultimo con lo storico coach Marjan Vajda, specie se pensiamo che due anni fa – proprio di questi tempi – nel suo box sedeva il folkloristico santone Pepe Imaz, il cui motto “Amor y Paz” coincise col peggior momento della carriera di Djoker.
Tornando un attimo sulla stretta attualità della finale di New York, Nole ha letteralmente mandato al manicomio Juan Martin del Potro, il cui ritorno a grandi livelli resta – a prescindere dallo score – una nota lieta per l’intero movimento tennistico. Troppo più forte, Djokovic, bravo a disinnescare il potente stile di gioco del Palito con un tennis più aggressivo del previsto: sono stati più del previsto, non a caso, i punti conquistati dal serbo dalla trequarti a rete. Ha azzannato la partita e fatto valere la maggiore esperienza in partite di questo genere nei momenti chiave della contesa.
È evidente come, al netto di un Federer dai mille punti interrogativi e di un Nadal logoro fisicamente, il vertice del tennis mondiale sia destinato a tornare presto tra le mani di Novak, uscito vincitore dallo Slam più faticoso degli ultimi tempi (per via del clima che ha causato non pochi problemi a tutti gli atleti impegnati a New York) e più che mai tirato a lucido. Magari dopo Bercy, più probabilmente al termine del Master di fine anno: l’importante è che Djokovic appare più affamato che mai, forte del quattordicesimo major in carriera e di un futuro, quello del suo tennis, mai stato così raggiante. Con buona pace di old, next e generazioni varie.
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