Stamattina è arrivato al campo numero 2 con una flemma più accentuata del solito, consapevole di averla combinata grossa: dopo due set tiratissimi vinti, ieri Juan Martin ha ceduto per un’ingenuità a Simon, sempre lì, sempre pronto a sfruttare ogni tuo errore, attento ad ingarbugliarti i piani, a vivere sul margine dell’iper-tatticismo, di chi sa che deve far affidamento alla propria intelligenza per giocarsela a questi livelli.
Lo ha fatto per anni Gillou, a cui ormai il fisico regge meno, le ambizioni pure, però quando viene chiamato alla lotta è sempre rognoso come nessuno, anche su questi campi, quest’anno per la verità un po’ più lenti a causa del caldo.
Del Potro ha il gioco per scardinare la ragnatela di Simon, ma ci sono giornate, si sa, meno felici di altre, meno brillanti, meno proficue: e se non hai pazienza, se non hai quel qualcosa in più in quei giorni (e Simon è bravissimo a spegnere ogni scintilla) allora rischi di rimanere intrappolato, convertendo 4 palle break su 20, percentuali federeriane.
È quello che è quasi accaduto all’argentino, che però alla fine è riuscito a recuperare un rientro difficile in campo, spendendo non troppe energie, anche se due giorni di fila prima di affrontare uno contro Nadal non è esattamente l’ideale.
Sulla carta, il quarto più bello. In passato, però, qualche partita deludente, anche qui a Wimbledon, sette anni fa, tutti set combattuti ma persi in un ottavo che poi lanciò il maiorchino in finale.
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