Chissà in quanti se lo sono chiesti. Tra addetti ai lavori, fans, giocatori, allenatori, forse perfino lo stesso Rafa, per fare in modo che non capiti mai. Se lo è sicuramente chiesto Dimitrov dopo avere giocato uno dei suoi migliori set in carriera contro lo spagnolo.
D’altronde Nadal sulla terra ha perso soltanto due partite al meglio dei cinque set, 35 totali; il quesito perciò è legittimo quanto una domanda esistenziale, metafisica, filosofica, ormai più che decennale.
E’ quindi possibile che Rafa vinca tutto anche quest’anno senza che ci sia possibilità di sorpresa fino alla fine del Roland Garros?
Ci si prova in tutti i modi a rendere appassionante la corsa che fino a metà Giugno vedrà tutti (o meglio, tutti tranne Federer, che dopo 14 anni di sberle sulla terra dal rivale/amico e i malanni al ginocchio instabile con le scivolate sul rosso, ha salutato fino a Stoccarda) sfidarsi su questa superficie: Nole può tornare ai suoi livelli? Wawrinka sulla terra potrebbe essere il jolly, se si ripresenta in forma, Thiem farà l’exploit?
Poi ci si ritrova alle fasi finali del torneo di Montecarlo e ci si rende conto che forse ce la si sta raccontando per non perdere interesse.
Cosa occorre/occorrerebbe?
Un Nadal in condizioni psico/fisiche precarie
Condizione necessaria ma spesso non sufficiente: però le volte che Nadal ha perso qualche partita sul rosso, non era al meglio quanto a fiducia o fisicamente non era al top della forma. Parlando solo di match al meglio dei tre set, ci ricordiamo le vesciche a Roma contro Ferrero nel 2008, la riserva in rosso in finale ad Amburgo nel 2007, il ritiro a Roland Garros in corso nel 2016 e davvero poco altro. Perfino nella sua più clamorosa sconfitta a Parigi nel 2009 contro Robin Soderling, nonostante un’enorme partita da parte dello svedese, ci volle la collaborazione di un Nadal impreciso, specie nei punti chiave del match.
La partita della vita
Anche questa possibilità aumenta le chance ma non te le assicura affatto; Federer a Roma nel 2006 potrebbe parlarne, così come Kei Nishikori a Madrid, che forse nel migliore match della sua carriera lo mise sott’acqua in finale per un set e mezzo, prima di farsi male alla schiena, probabilmente per lo sforzo enorme compiuto, oltre che per il fisico fragile del tennista nipponico. Perché Nadal ha un margine enorme sulla terra battuta che gli permette di gestire situazioni difficili, poche volte disperate: è grazie al modo di muoversi naturalmente che quasi solo lui possiede su questa superficie, del rimbalzo che permette il suo topspin esasperato, grazie alla fiducia che le quasi 400 vittorie sulla terra gli hanno dato, la capacità di muovere e sfiancare l’avversario anche se attende il suo servizio 3 o 4 metri dietro la linea di fondo; lui te la rimette di là, profonda, arrotata, magari angolata, mentre ha fatto in tempo a spostarsi per colpire di dritto e inchiodarti sul suo angolo preferito: se poi hai il rovescio ad una mano, si diverte proprio ad aprirsi il campo e colpire nell’angolo che hai lasciato solo.
Robo-Nole
Solo Djokovic in condizioni stellari, quello che dominava ogni cosa, che si contavano su una mano gli errori gratuiti a fine match, è riuscito a fargli ingoiare diverse volte bocconi amarissimi.
Prima nel MS1000 sul rosso, con delle sconfitte che poi non si concretizzarono immediatamente -per motivi diversi- in quella principale a Parigi, avvenuta dopo, in tre set senza storia, in un momento in cui Djokovic appariva intoccabile e poi perse contro un Wawrinka folle e guastafeste. Ma Djokovic, dalla sua, aveva una solidità pari se non superiore a quella dello spagnolo, una mobilità e una resistenza invidiabili e soprattutto un rovescio a due mani sublime che andava a scontrarsi con il miglior colpo di Nadal che a quel punto doveva pensare a nuovi piani tattici. Quel Djokovic non esiste più e probabilmente non lo vedremo mai più.
E’ dunque evidente che per strappare i titoli a Nadal da qui a Giugno serviranno miracoli, fortuna, una condizione non sempre eccellente del maiorchino che però si è “risparmiato” il double sul cemento molto dispendioso tra Indian Wells e Miami e che ora arriva affamato e fresco, senza troppi avversari, a gustarsi il suo banchetto preferito.
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