“Ye!Ye!Ye!”, gridano felici e contenti, abbracciandosi l’un con l’altro, nemmeno avessero vinto al Superenalotto. I giornalisti coreani sono seduti esattamente sotto di noi italici, sulla Rod Laver Arena, e un loro giovanotto ha appena battuto quello che fino a due anni fa da queste parti era il signore e padrone assoluto, l’inavvicinabile Novak Djokovic.
Hyeon Chung, anni 22, è il primo coreano arrivato ai quarti di finale in un torneo dello slam, e c’è arrivato col botto. Prima ha fatto fuori quello che per tutti dovrebbe dominare la sua generazione, Alexandre Zverev, poi ha battuto quello che ha dominato buona parte degli anni dal 2010 in poi, instaurando per almeno 3 anni una vera e propria dittatura. Qualcuno già dice che sarà questo ragazzino con gli occhiali che gli fanno da binocolo (senza non vede praticamente nulla) a farla da padrone, e sarebbero sempre meno quelli sorpresi se si prendesse già la coppa, lo scettro, questo fine settimana. Nadal, Federer, Dimitrov o Berdych permettendo.
Anche nel tennis, le cose cambiano in fretta, molto in fretta. Per ora ci rimane la gioia dei colleghi coreani che guardano noi giornalisti europei quasi con aria di sfida. Un fenomeno con gli occhi a mandorla con la racchetta in mano, ancora lo aspettano. Michael Chang ha vinto un Roland Garros e aveva tratti indiscutibilmente asiatici, ma era americano. Kei Nishikori non ha mantenuto le promesse, soprattutto per colpa di un fisico che lo ha martellato di infortuni e non gli ha mai permesso di avere quella continuità necessaria, quantomeno per provarci.
Ma il buon Kei è capitato nel bel mezzo della generazione dei fenomeni assoluti, non avrebbe mai e poi mai dominato anche con mezzi atletici differenti. Chung invece, agli occhi di questa parte del mondo almeno, ce la potrebbe invece fare. Tolti i fenomeni per via della carta d’identità, piano piano rimarranno quelli che ora sono la Next Gen, e la sensazione è che quel ragazzino ora giovane uomo, anche se ancora con un accenno di acne sulla faccia, quello che sembrava un bambino accanto a Quinzi nella finale di Wimbledon juniores del 2013, ce la possa davvero fare, a diventare il primo asiatico con gli occhi a mandorla a diventare numero 1 del mondo, a dominare il tennis. Nel femminile c’è già stata la Na Li, la terribile cinese che si è portata a casa due slam, ma anche lì parlare di supremazia è troppo: ha colto le occasioni che le sono capitate, e le ha fatte sue. Chung in questo sembra molto centrato, quasi spietato. Non è, non sembra uno che se la fa sotto nei momenti caldi. E anche fisicamente non è il classico orientale tutta resistenza ma pochi muscoli. Tutt’altro. Non è un gigante, ma ha delle gambe che sembrano tronchi d’albero, soprattutto i polpacci.
E’ potente, potentemente costruito per vincere, anzi. E lo ha fatto contro un termine di paragone assoluto, Novak Djokovic, seppur lontanissimo dai suoi standard, pre Roland Garros 2016. Ma quelli erano altri tempi. Proprio il serbo è sempre stato l’idolo di Chung, che ha sempre dichiarato di sentirsi ispirato da RoboNole, e potrebbe esserne l’erede, chissà. Troppo presto per dirlo, però. Djokovic e Chung si erano incontrati due anni fa proprio a Melbourne, e il coreano, nemmeno ventenne, fu spazzato via. La storia di Hyeon è caratterizzata da due cose: la racchetta e quei suoi strani occhiali. Suo padre è un maestro di tennis, che si è sempre mantenuto lontano dai riflettori. Da piccolo gli fu diagnosticato un problema alla vista che sembrava compromettere la carriera, ma poi furono trovati questi occhiali, una sorta di cannocchiale, e ora si vedono i risultati.
Quando si dice che Chung è uno costruito, non si dice per caso. Fra i 13 e i 15 anni ha frequentato l’ Academy di Nick Bollettieri in Florida, oggi è tornato ad allenarsi in patria, a Suwon. E n. 58 del mondo, ormai vicino a superare il record del miglior coreano di sempre, Hyung Taik-Lee, numero 36 nel 2007, da novembre anche il campione in carica delle Atp Next Gen Finals. Adesso è nei quarti di finale di uno slam, e urla al mondo che batterlo non sarà facile. E come lui, urla anche l’est asiatico, che nel tennis possono gridare, anche loro. Ed è un urlo, quello di Chung, che terrorizza, e non poco, l’occidente. Come faceva Bruce Lee.
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