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Halep, Wozniacki e l’Australian Open dei nuovi assetti

Passano le ore, si avvicina la finale femminile dell’Australian Open. Una finale particolare, che passerà comunque alla storia chiunque tra Simona Halep, numero 1 del mondo, e Caroline Wozniacki, numero 2, riuscirà ad alzare il trofeo. Avremo una nuova campionessa Slam e il trono di regina che sarà in palio proprio in quella partita. Tutto in una sera, a conclusione di un torneo che ha compensato, nelle due ore e venti dell’incredibile partita tra  Halep e Angelique Kerber, la lunga attesa per quel Godot che sembrava non arrivare mai, per quel momento da ricordare che “rischiava” di essere semplicemente il nome della nuova campionessa del torneo.

È bello, davvero bello, poter dire che fino a ora abbiamo avuto la miglior versione della tedesca giunta al numero 1 del mondo nel 2016 e scomparsa dai radar lo scorso anno, tra difficoltà di vario tipo a gestire le pressioni di essere lassù al comando di un circuito che, con la maternità di Serena Williams, doveva necessariamente avere una padrona. Kerber per tanti anni ha regalato partite straordinarie, ma come dicevamo spesso l’essere arrivata per la prima volta al numero 1 del mondo a quasi 29 anni era inevitabile portasse con sé alcuni contraccolpi importanti. Banalmente, era passata dalla cacciatrice alla preda. Adesso invece sta dimostrando che il 2017 vuole essere solo un momento di passaggio: questa è la vera Kerber, la giocatrice matura, intelligente, tanto aggressiva quanto solida. Non è tutto, perché oggi è stata impeccabile nel momento in cui decideva di prendere rischi, nella terza frazione, quando era veramente sulle gambe eppure cancellava a suon di vincenti ogni occasione che Halep poteva avere per allungare.

“Angie” giocatrice a tutto tondo, che ha finito la conferenza stampa con un sorriso (per quanto il rammarico fosse alto) e la consapevolezza che la strada intrapresa è quella giusta: coach Wim Fissette ha fatto un miracolo in un paio di mesi. Ha sentito di essere su quel campo con tutto il cuore e l’amore che ha per questo sport. Spesso, dopo situazioni così tirate, sul suo volto si notava una delusione enorme, stavolta invece è apparsa da subito rilassata mentre all’uscita ringraziava uno a uno i giornalisti tedeschi che le dicevano “sei stata fantastica, continua così”.

Halep invece giocatrice vera lo sta diventando. Forse, come Kerber, il suo processo di maturazione durerà più delle altre, ma vedendo giocare così bene la rumena crescono le possibilità che prima o poi riesca davvero a mettere le mani su un titolo Slam, che sia qui in Australia o più avanti. Facendo due chiacchiere con un giornalista rumeno è arrivata l’ennesima conferma che i gesti di stizza, o rabbia vera, della vecchia Halep erano uno dei passi più importanti da modificare per intraprendere un vero percorso di crescita. A causa di quello, infatti, era arrivata a una rottura con Darren Cahill dopo Miami 2017. Lì Simona, che nella off season lo aveva annunciato come coach “a vita”, capì che non poteva davvero più continuare a cadere nello stesso errore. Riuscì a ricomporre il rapporto e passo passo è salita al numero 1, non senza difficoltà. Quest anno, e lo abbiamo già accennato, si sta mostrando al circuito WTA con lo stesso piglio della Kerber di quando cominciò la sua scalata: aggressiva, solida, mutevole nelle fasi di gioco. I colpi in lungolinea della rumena sono una novità, almeno in questa portata. Per non parlare poi dei vincenti. A tal proposito le abbiamo chiesto proprio di questo dato in conferenza stampa: “Hai fatto 50 vincenti, te ne sei resa conto?”. La sua risposta, con una faccia stupita e compiaciuta: “Son tanti, vero? (ride, nda) Me l’ha detto poco fa mio fratello, non potevo crederci”.

Non c’è traccia di una Halep così aggressiva nella sua carriera fino al 2017. In finale al Roland Garros ne fece appena 8 contro i 54 di Jelena Ostapenko. Se poi persino lei non riesce a farci caso allora vien da pensare stia già assimilando questo tentativo (importante) di cambiamento. Anche Wozniacki sta offrendo un atteggiamento molto propositivo: contro Elise Mertens sono stati tanti i vincenti, soprattutto di rovescio. Lei sarà probabilmente favorita, sabato sera: al di là dei precedenti, dove è avanti 4-2, c’è anche da considerare che ha una condizione fisica nettamente migliore, vuoi per aver evitato maratone e vuoi anche perché la rumena ha anche dovuto destreggiarsi con un problema. Ad ogni modo, queste semifinali (e queste semifinaliste) hanno smentito quello che lo scorso anno si era verificato, con le sorelle Williams più CoCo Vandeweghe e Mirjana Lucic Baroni: quattro giocatrici molto aggressive. Quest anno invece 3 su 4 sono le perfette counterpuncher, le ribattenti, che garantiscono pochi errori e un’eccellente capacità di tenere gli scambi in gioco, di difendersi e girare lo scambio. Su una superficie così veloce non era scontato, anzi.

È come se Melbourne volesse comunicarci qualcosa: anche loro possono dire qualcosa di importante. Con questo torneo infatti cadrà il detto, più da forum di tennis che da pubblico generalista, che ha sempre accompagnato la carriera di giocatrici come Halep e Wozniacki: “Pusher don’t win Slam” (“le colpitrici non vincono Slam” al contrario invece delle “bashers”, picchiatrici, come per ultima Jelena Ostapenko e, seppur in minor natura, Sloane Stephens). Una di loro sarà la campionessa dell’Australian Open. Anche se, ad essere sincero, loro non sono più delle pushers.

Diego Barbiani

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