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Mastro Grisha, un affare di status

Più lunga è la salita, più grande è la gioia quando si arriva in vetta. Nel descrivere le cose di sport spesso si abusa delle metafore, ma nel caso specifico questa ci sta. La gioia di Grigor Dimitrov è di quelle che ti segnano la vita. Si è preso il titolo di Maestro ed è passato ufficialmente dallo status di eterna promessa a quello di campione. In un colpo solo, non male davvero. L’incastro definitivo: il suo stato di grazia che combacia preciso con le turbe altrui. L’anno termina nel nome di Grisha (vezzeggiativo a uso di tifosi e amici) ed è una buona notizia per il tennis. Non ne circolano tanti di così divertenti da vedere, e il suo avvento testimonia che sul pianeta terra (ma soprattutto sul veloce!) c’è possibilità di sopravvivere alla dipartita futura di Roger Federer e Rafa Nadal.

Una maturazione lenta e laboriosa, come si diceva. Il giovane si sente ripetere da quando era in culla: «Sei un fenomeno, un predestinato, diventerai un campione, gli dei del tennis ti hanno baciato, vincerai, sei bello come Roger, anzi gli somigli, anzi sei la fotocopia, anzi sei pure meglio». Certo l’autostima va nutrita e l’ego rimpolpato, ma un martellamento del genere avrebbe destabilizzato chiunque. Dopo la conquista di Wimbledon junior e i successivi tre set contro Nadal (anni 2008/09) pareva dovesse spaccare il mondo a breve. Salvo poi ritrovarsi confinato in piena dittatura Fab Four, periodaccio per chiunque volesse provare ad alzare coppe di un certo peso, nel tennis.

A ciò si aggiunse, col tempo, una crescente predilezione per la bella vita e per i vantaggi “indotti” dall’essere tennista. Comprensibile che la sua classifica sia rimasta stazionaria su numeri normali per un lungo periodo. Fino all’ennesima dimostrazione che il tempo è galantuomo: il lunedì dopo le ATP Finals si ritrova d’incanto al numero 3, appena sotto Nadal e Federer. Il voltapagina è definitivo e paragonabile a una deflagrazione, di certo non casuale, anzi meritato oltre ogni ragionevole dubbio. A suggellare una stagione cominciata con la semifinale australiana, proseguita col titolo a Cincinnati e culminata con l’eternità che solo il Masters può dare.

Passata la festa, però qualche riflessione va fatta. A partire dall’analisi degli avversari inanellati cammin facendo. Un conto è giocarsi un Masters contro Thiem, Goffin, Carreno, Sock e ancora Goffin in finale; altra cosa sarebbe stata vedersela con Murray, Djokovic, Raonic, Wawrinka e Nishikori. Tutti dal meccanico a fare il tagliando. Senza considerare Nadal claudicante e Federer esaurito. Roba che nemmeno la moria delle vacche. Negli anni scorsi il cammino sarebbe stato diverso e parecchio più accidentato. Però è altrettanto vero che lo sport funziona proprio così. Bisogna essere bravi a farsi trovare pronti e pimpanti quando si presenta l’occasione giusta. Le Finals sono, assieme agli Slam, qualcosa che colloca di diritto nei libri di storia, a prescindere dalla qualità del tabellone, di cui tra qualche anno nessuno si ricorderà. Dimitrov ha fatto 5/5 a Londra, di più non gli si poteva chiedere. E va precisato che il sistema di prize money in uso per l’occasione gli ha consentito di ricevere un bonifico da due milioni e mezzo abbondanti, che male non fa.

Brillante in campo e fuori, estroverso, arguto, educato e sorridente oltre ogni immaginazione. Il ragazzo di Haskovo, 96.000 abitanti nel sud della Bulgaria oggi gira per Montecarlo su una Bentley decappottabile e lancia le chiavi al portiere del locale che ha deciso di frequentare quella sera. Ma poi si ferma a salutare e ringraziare anche gli addetti alle pulizie, quando arriva o riparte da un torneo. Un giovanotto che non batte ciglio se gli comunicano che ha dieci interviste post partita, e se gliene aggiungono altre otto dice ok. A ogni domanda (non sempre originalissima) dei giornalisti risponde articolando un ragio- namento compiuto, privo di ovvietà. Guardando in faccia l’interlocutore e sorridendo.

È anche da questi particolari che si giudica un giocatore. I tennisti non si comportano tutti così, ma proprio per niente. Vederlo toccare la palla è un piacere per l’anima, lo sappiamo da anni. Da novembre 2017 dobbiamo an-che considerarlo un vincente. Il prossimo capitolo della storia parte da qui. Il futuro di Dimitrov è pieno di belle prospettive ma anche di doverose analisi. Si è laureato campione e ha posto il timbro definitivo sul documento che lo certifica. Conscio di averlo fatto nell’occasione più propizia, in cui molti dei professori erano assenti. Torneranno uno dopo l’altro, più infervorati di prima. Vogliosi di riconquistare quello che la salute malferma ha precluso loro, in partenza o in corso d’opera. Per Grigor inizia un percorso fatto di verifiche continue. Una specie di ulteriore Master universitario (nome non a caso) post laurea. Nel suo caso si accederà alla nuova serie di esami dopo aver fatto il pieno di conoscenze, sul campo blu della O2 Arena. Una base molto solida per rimettersi in gioco. A patto di conservare la forma fisica e la spensieratezza agonistica che lo hanno accompagnato nel suo excursus londinese per diventare Maestro.

Stefano Meloccaro

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