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Coppa Davis, competizione di squadra o riconoscimento per singoli?

La recente finale di Coppa Davis ha lasciato aperto ancora una volta il dubbio su questa competizione che con gli anni che passano – e le Laver Cup che arrivano – sembra sempre più ai margini, meno ambita e meno rispettata dai giocatori stessi.

Il punto focale rimane: si vince con i singoli talenti che si impegnano o si può vincere con un movimento solido e valido alle spalle? Per movimento intendiamo che una nazione possa crescere una generazione di giocatori tutti allo stesso livello, da cui magari usciranno uno o due un po’ più forti. Giusto un paio più vincenti grazie alle loro doti caratteriali e non come capita a certe nazioni che si ritrovano quasi per caso il fuoriclasse.

La tre giorni di Lille ci ha presentato proprio il quadro che stiamo dipingendo. Da una parte una squadra monogiocatore, sicuramente nel suo momento di picco e giunto al numero 7 della classifica mondiale, David Goffin per il Belgio. Dall’altra una squadra composta da due singolaristi più che discreti e un doppio collaudato, anche se per scelta ha giocato uno solo dei due doppisti titolari, la Francia di Noah.

Proprio il capitano transalpino ha sottolineato la forza del suo gruppo e non dei singoli che quest’anno non hanno brillato tantissimo, a fine stagione nessuno giocatore francese è presente nei primi 10. Le parole di Yannick Noah sono state queste: “Non abbiamo un top 5, ma una decina di giocatori che sono tutti di alto livello rispetto a Nazioni che puntano su uno o due interpreti.”

Chiaro riferimento al Belgio, o anche all’Argentina dello scorso anno, o la Gran Bretagna di Murray nel 2015 o la Svizzera l’anno prima ancora, vero pure che in quel caso bastò convincere i primi due rosso-crociati a giocare seriamente tutta la competizione per portarla a casa. Una storia che si ripete e sembra non dare mai nessuna indicazione su quale sia realmente la vera faccia della Coppa Davis.

Se gli esempi al maschile non vi convincono basta pensare al femminile dove la situazione pare più disastrata, ma al contrario degli uomini vincono più spesso i movimenti e non le singole. Ricordiamo soltanto i risultati delle azzurre nello scorso decennio che sono arrivate più volte a sollevare la Fed Cup e nessuna spiccava – ancora – per vittorie in appuntamenti importanti. Semplicemente avevamo tante buone giocatrici nelle prime 50 del mondo.

Ovviamente l’ITF non ha mai cambiato le proprie regole su come schierare i convocati e anche con l’arrivo della Rod Laver Cup sembra mantenersi un po’ sul vago, probabilmente sbagliando. Quello che forse potrebbe servire per risollevare le sorti della competizione sarebbe trasformarlo in un evento per nazioni in tutto e per tutto e non per nazioni con fuoriclasse grazie a cui puoi comunque giocarti il titolo anche senza avere altri giocatori dietro.

Basterebbe prendere i quattro convocati per ogni sfida, così come già è, e fargli giocare un singolare a testa, magari contro il corrispettivo dell’altra nazionale. I numeri uno contro, i numeri due delle rispettive squadra contro e così via, per il doppio invece si potrebbero rischierare a piacimento del capitano come di fatto già avviene. Sicuramente si perderebbe di appeal forse, pensiamo al match tra i numeri uno e poi il match tra i numeri quattro.

Al tempo stesso però verrebbero un po’ più allo scoperto i reali valori di quello che è il tennis in quella nazione, in quel determinato momento storico/sportivo. Senza dipendere dai talenti singoli che vanno benissimo al tennis che rimane uno sport individuale per eccellenza, ma non in una competizione definita a squadre in cui deve essere rappresentata tutta la nazione.

Luigi Ansaloni

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Tags: Coppa Davis

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