Ne avevamo accennato questo pomeriggio, con la preview sul match: il rischio era quello di assistere ad una partita bloccata dalle emozioni dei legame tra le due giocatrici in campo. Sloane Stephens e Madison Keys, fantastiche protagoniste di due settimane di torneo appassionanti e di tutto quello che è stato il prima e il dopo la loro partita, hanno giocato una finale nel complesso non bella, priva di equilibrio, dove le uniche emozioni le ha (purtroppo) offerte Keys con le lacrime abbozzate sul doppio fallo per il 6-3 4-0 Stephens e poi scese, a dirotto, nel momento dell’abbraccio finale. Vorremmo poter fermare il tempo in quell’istante, raccontare solo di quei 10, 15 secondi che ci sono sembrati un’eternità. L’una abbracciata all’altra, una in lacrime per non aver potuto giocare la partita che voleva, l’altra che continuava a parlarle per consolarla. Un momento di umanità che sono due persone così legate l’un l’altra come hanno detto di essere sia Sloane che Madison possono regalare.
Il match è stato da dimenticare, un peccato perché l’unico neo del torneo nella partita che per entrambe rappresentava un punto di svolta della carriera. Stephens ha colto l’occasione al volo e non solo è diventata la giocatrice con la classifica più alta di sempre (escluse Kim Clijsters e Evonne Goolagong, da non classificate) ad aver vinto uno Slam. Cominciava le due settimane di Flushing Meadows da numero 83 del mondo, bazzecole per chi era stata 957 appena quattro settimane prima. Lunedì sarà numero 16 compiendo in definitiva un balzo in avanti di 941 posti. Diciamo sempre che Petra Kvitova si è aggiudicata in anticipo il premio per il rientro dell’anno nel circuito femminile, ma questa storia rischia di diventare ancor più grande. Chi poteva immaginare Stephens, fuori 11 mesi per una frattura da stress, incapace di camminare fino a fine aprile, 5 mesi più tardi nuova campionessa dello US Open?
Una partita risoltasi in un battibaleno, che ha confermato l’imbattibilità di Stephens nelle finali del circuito maggiore: 5-0 da Washington 2015. Il titolo più importante consacra un talento che non era mai pienamente sbocciato, neppure quando batté Serena Williams nei quarti di finale dell’Australian Open 2013. Per tanti anni sembrava vivere non bene il proprio momento in campo, indecisa sul tipo di gioco da usare. È molto più completa di quello che sembra, anche se ad esempio sfrutta pochissimo la rete. Eppure appoggi e spostamenti sono rapidi e precisi, i colpi sono ottimi per leggerezza e soprattutto per mandare in crisi giocatrici super offensive come può essere la stessa Keys. Anche qui, era un dato che avevamo fatto notare: Madison aveva vinto solo 3 partite su 24 contro Simona Halep, Agnieszka Radwanska, Caroline Wozniacki, Angelique Kerber. Stasera si è ripetuta nei soliti errori, non si sa quanto per i nervi o quanto per un problema fisico, ma è ormai evidente che questa tipologia di giocatrici che rigioca tanti colpi, che trova grande profondità e che, soprattutto, continua a muoverla, le da tanto fastidio. Deve essere lei a spingere, ad imprimere forza sulla palla, e questo la manda fuori giri. Lo si era notato nei primi game: Stephens andava sciolta, senza sbagliare un singolo colpo (il primo gratuito sarà sul 5-3 15-15) e lei invece faceva già tanta fatica. Poi la distanza tra le due è aumentata e tutto è peggiorato. C’erano comunque degli indizi su che partita attenderci: Stephens, in questo suo straordinario mese e mezzo, ha battuto due volte Petra Kvitova, Julia Goerges e Lucie Safarova, una volta Dominika Cibulkova e Venus Williams, ovvero tutte giocatrici che attaccano con grande potenza o che vogliono chiudere gli scambi in pochi colpi, proprio come Keys.
Alla fine, dunque, è Stephens a mettere le mani sul trofeo che da solo potrebbe valere una carriera. Una vittoria che chiude il cerchio su due settimane fatte solo di bei momenti. Abbiamo cominciato addirittura prima del vero sorteggio, quando nel terzo turno di qualificazioni si affrontavano Allie Kiick e Victoria Duval: due ragazze, coetanee, che stanno combattendo per risalire dopo tre anni di infortuni gravi e tumori. Kiick, che aveva vinto per ritiro, ha poi perso nettamente all’esordio da Daria Gavrilova, che veniva a sua volta dal titolo a New Haven e al secondo turno ha giocato la partita record nella storia del singolare femminile del torneo, contro Shelby Rogers. L’abbraccio a rete, anche lì, fu qualcosa di emozionante e da applausi a non finire. Poi le storie dei rientri, da Petra Kvitova a Kaia Kanepi, di nuovo ai quarti di finale di uno Slam dopo 4 anni da numero 418 del mondo. Alla fine, quello della ceca è stato un torneo dai due volti perché giocare come ha fatto nei primi 4 turni voleva dire essere in formissima e per fermarla c’è voluta una delle migliori versioni di Venus Williams, che ha prevalso solo al tie-break del terzo. Venus che a 37 anni, di cui gli ultimi 6 passati con una malattia autoimmune che la debilita nell’attività agonistica, ha appena concluso il terzo torneo Slam della stagione dove raggiungeva almeno la semifinale. L’ultima volta fu nel 2002. Non è riuscita, anche a causa della sindrome di Sjorgen, a recuperare a pieno per affrontare Stephens in semifinale, eppure è arrivata lo stesso a due punti dalla vittoria e c’è voluto un passante straordinario della connazionale a negarle il match point. Quello, a posteriori, è stato il punto di svolta dell’intero torneo. Poi il rientro di Maria Sharapova e le mille emozioni che ci ha regalato il match contro Simona Halep, quasi 3 ore di partita a livelli altissimi. La russa quella sera ha dato tutto, con l’orgoglio di chi non avrebbe mai voluto perdere. Poi il corpo ha chiesto il conto e il livello nei match successivi non è mai stato quello del primo turno, ma rimane uno dei match simbolo del torneo.
Tanti incontri tirati. Oltre al 7-5 4-6 7-6 da record di Shelby Rogers contro Daria Gavrilova ci sono stati da ricordare il 7-5 al terzo di Kanepi contro Naomi Osaka come di Stephens contro Venus, il 7-6 al terzo di Kuznetsova contro Vondrousova, come di Venus contro Kvitova e Stephens contro Sevastova. Oltre a loro, però, andrebbero fatte menzioni speciali per il match tra Sharapova ed Halep come quello tra CoCo Vandewghe e Agnieszka Radwanska. Un elenco all’apparenza brutale, ma che riporta alla mente partite di grande livello, che hanno esaltato le qualità delle giocatrici e fatto esaltare gli spettatori allo stadio come a casa. Uno US Open da dieci, ma che ha fallito nel giorno più importante e non può avere la lode. Al di là di tutti i ricordi positivi e dei momenti che hanno caratterizzato il post gara della finale, rimane un enorme peccato.
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