Forse siamo meno sorpresi rispetto al miracoloso Australian Open, qui a Wimbledon – casa sua – era nell’aria che potesse arrivare l’ottavo straordinario trionfo ai Championships. La situazione si è messa subito bene per lo svizzero in finale contro l’abbastanza temuto Marin Cilic, rallentato da un fastidio al piede sinistro, ma le magie stavolta, non tutte in campo, Federer le ha fatte nelle due settimane prime, nei quattro mesi prima, nel solo pensiero di quello che avrebbe potuto fare e che ha davvero realizzato.
Zero, non otto e nemmeno diciannove. Neanche 11 come le finali giocate a Church Road, neanche 10.000 come gli ace che ha superato in carriera in questo torneo. 0 che possono essere i set persi in questa edizione di Wimbledon – gli era riuscito solo in Australia nel 2007 di vincere senza concedere set, qui a Wimbledon era arrivato soltanto in finale nel 2006 e 2008 senza perdere set -; ancora 0 come i set che ha perso anche ad Halle, Stoccarda è un po’ un conto a parte. 0 come le partite che ha perso negli Slam o nei 1000 a cui ha preso parte quest’anno. Quando c’era da fare sul serio quest’anno non ha deluso.
Così arriviamo alla seconda magia straordinaria del campione elvetico: “Non gioco sulla terra, anzi non gioco neanche a Parigi.” Inutile sottolineare come in molti gli siano andati contro anche pesantemente mettendo in discussione la sua divina aurea sia di campione che di uomo, quasi fosse tenuto a giocare, quasi fosse un’incredibile mancanza di rispetto verso il mondo del tennis. Arrivati alla fine della stagione su erba lo svizzero ha avuto ragione, due titoli su tre tornei giocati e in bacheca ha (ri)messo il più importante.
“Mah”, l’abbiamo sentita spesso questa parola nelle due settimane come commento alle prestazioni dello svizzero. ‘Federer non gioca bene, oggi non era concentrato, oggi si muoveva male, contro tizio il dritto non andava, contro caio troppo in difesa, non sembra il miglior Federer di sempre’. Forse è vero, Federer non è stato assolutamente costante in questo torneo, però ogni volta che si è ritrovato un avversario di fronte non ha mai lasciato un set per strada, come si può giocare male e non perdere neanche un set? Forse perché, grazie anche a Ljubo ne siamo certi, Federer ogni partita l’ha giocata a ‘specchio’ rispetto al proprio avversario e non come faceva nei tempi da poco passati cercando di annientarlo sovrastandolo con il proprio gioco inarrivabile indifferentemente da chi si trovasse di fronte. A Raonic ha annullato il servizio, a Dimitrov ha tolto il ritmo da fondo rimandandogli tutto di là al doppio della velocità, contro Berdych c’era poco da fare se non colpirlo nei momenti decisivi, essere cinico, lì dove il ceco avrebbe titubato. Contro Cilic non abbiamo assistito ad un vera partita fino in fondo, ma siamo sicuri che lo svizzero avrebbe trovato il modo di superare anche questo ostacolo, ovviamente senza giocare bene, ma mettendo in difficoltà il croato.
Tutto questo, ma sicuramente c’è stato molto altro, ha permesso a Federer di compiere l’impossibile alle soglie dei 36 anni, giocando in Inghilterra dovremmo dire Che Dio salvi il Re del Tennis o, stato a sentire alcuni, “che Dio salvi se stesso!”
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