La partita della svolta – anche se le cose avevano già preso quella piega, pare. La partita dei match point falliti. La partita di un tie-break perfetto, il primo, e di due tie-break lottati, sudatissimi: il primo vinto da Federer, gli altri due da Nadal. Solo la finale di Wimbledon 2008 può ambire a stare nella stessa categoria di quella di Roma, avvenuta undici anni fa, e non solo per lo spettacolo tecnico, ma per tutto ciò che Roger Federer e Rafael Nadal hanno meso in campo in quelle abbondanti 5 ore. È stata la partita in cui lo svizzero ha messo a nudo tutti i suoi complessi psicologici, quelli che per magia sono scomparsi quest’anno, e quella in cui Nadal ha dimostrato a tutti che non avrebbe mai mollato, nemmeno davanti al più forte di tutti nell’anno in cui era più forte anche di sé stesso.
È inutile tentare di riassumere i significati di quella partita e sarebbe umiliante ripercorrere quei cinque set. L’unica cosa che resta da fare è aspettare una delle tante repliche su Supertennis, cercare gli spezzoni su YouTube e rimanere sbalorditi a ogni punto. Non fu una partita costantemente bella – ma quale lo è? – ma fu probabilmente la partita in cui i livelli di Federer e Nadal al loro meglio furono più vicini. In oltre tredici anni di storia, è successo raramente, anzi quasi mai, che quei due riuscissero a giocare bene contemporaneamente per così tanto tempo. La loro rivalità, già prima di quella partita, è sempre stata una rivalità strana e diversa dalle altre. Le debolezze di Federer, i malanni fisici di Nadal e tante altre variabili ci hanno costretto a vedere partite francamente imbarazzanti: il match di round robin alle ATP World Tour Finals 2011; la semifinale agli Australian Open 2014; l’ottavo di finale a Indian Wells 2017; la finale del Roland Garros 2008; la semifinale di Miami 2011. Ma la finale di Roma 2006 fu qualcos’altro. Se non l’avete vista, non potete capirlo.
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