La Caja Magica, la magia oltre le critiche

Tennis e moquette, ragazzi e tecnologia, negozi, stand e tanti ascensori. Facciamo una passeggiata virtuale nella Caja Magica, il tempio, in qualche occasione criticato, del tennis spagnolo.

dal nostro inviato

La Caja Magica la vedi da lontano, soprattutto se scendi, sbagliando, alla fermata della Metro “12 de Octubre”. Si staglia la struttura verso il cielo – per usare un termine alla Battiato, lasciando stare la dinastia dei Ming, che qui c’entra ben poco – e interrompe la staticità della zona periferica in cui si trova. Appena ci si avvicina, perlomeno in questa settimana di tennis, si vedono le scarpe colorate muoversi dietro i teloni che coprono i campi da allenamento, si odono dei colpi in “diesis” – alzati di mezzo tono, rarissimi al circolo sotto casa – e ci si rende conto che si sta per entrare nella “scatola” del tennis.

La struttura, chiamata anche “Manzanares Park Tennis Center” è stata creata per supportare la candidatura di Madrid ai giochi olimpici del 2016 – andati poi a Rio. Era il 2009, l’anno di quella “riforma” che non risparmiò il torneo iberico, il quale, come tutti gli altri Masters 1000, accolse anche le ragazze e, inoltre, cambiò superficie: si passò dal “duro indoor” alla terra rossa. Oltre al tennis, la Caja Magica ospita le partite casalinghe del Real Madrid di basket. Le strutture principali sono tre: il Manolo Santana Stadium con 12500 posti, l’Arantxa Sanchez con 3500 posti e l’Estadio 3 con 2500.

La fermata Metro consigliata è “San Fermin/Orcasur”. Si scende e dopo dieci minuti a piedi ecco la Caja. Una volta dentro ci si trova un po’ spiazzati. Immaginate il Pala Lottomatica interrato per metà e contornato da una struttura che crea una sorta di immenso centro commerciale. Forse non è il più calzante degli esempi, ma non è raro vedere un palazzo dello sport al chiuso? Per terra, tra uno stadio e l’altro, c’è la moquette e si intravedono, tra le lamiere della struttura, un rio e una porzione di campagna circostante. I tre stadi sono collegati: si esce dal Manolo Santana e si entra nell’Arantxa Sanchez; lo stesso vale per l’Estadio 3. Rispetto al Foro Italico è tutto più raccolto e pare di muoversi in uno spazio più angusto.

Dopo poco ci si rende conto che lo spazio c’è, anche se distribuito diversamente. Si entra al livello 0, dove ci sono gli stand principali (Adidas, Head e Babolat per fare qualche nome) e diversi punti ristoro. Per raggiungere le altre “piste” (campi 4,5,6 e 7) si deve scendere necessariamente al livello -1, dove si trova la sala stampa e dove sembra di stare in un centro commerciale o in uno spazio fiera di lusso più che in una tappa del tennis mondiale. Negozi di abbigliamento sportivo e non, videogiochi di ultima generazione che, nemmeno a dirlo, attraggono decine di ragazzi – chissà cosa vedranno quelli che camminano muovendo le braccia nel vuoto con una sorta di casco in testa. Mah…

La Caja Magica si specchia nelle vie di Madrid. L’atmosfera è rilassata – come in ogni evento del genere, certo, ma il punto è la mentalità madrilena. – Nella capitale spagnola si vive a un altro ritmo; la vita appare più leggera, i problemi ci sono, certo, ma pare ci si pensi fino a un certo punto. Si passeggia, ci si siede nei bar davanti a una birra o a delle tostas e la giornata è dilatata, si cena alle 10, anche perché fa buio a quell’ora – a Madrid, nonostante ricadente nel meridiano di Greenwich, c’è l’orario di Berlino e Roma. La motivazione? Non delle più poetiche: nel 1942, il Dittatore Franco decise di spostare l’ora in segno di amicizia verso Hitler e Mussolini. Oggi, cercando di dimenticare il passato, gli spagnoli si tengono stretto il loro sole.

Nella Caja Magica, strano a sentirsi, ci sono gli ascensori. È pieno di ascensori! Sono dovunque e, al terzo giorno, ancora non ci si muove come si vorrebbe. La struttura si sviluppa verso l’alto. Al Foro, ad esempio, per arrivare dal Centrale al Grand Stand si fa una bella passeggiata; lo spazio si sviluppa in larghezza, qui è tutto raccolto, si va dal livello -2 al +3 in un batter d’occhio e, perlomeno inizialmente, non è facile abituarsi. Ieri, in ogni caso, abbiamo individuato una via d’uscita alternativa – Robert De Niro in Ronin recitava: “non entro mai in un posto se non so come uscire”, ecco, da ieri si sentirebbe al sicuro anche il buon vecchio Bob. – Dell’ascensore che porta dalla sala stampa al piano terra non c’era traccia, dopo dieci minuti buoni notiamo un tipo corpulento con un pass e un walkie talkie – qualcosa faceva pensare avesse qualche preziosa informazione – lo abbiamo seguito e, dopo aver superato una sorta di cantiere/lavanderia eccoci tornare tra i colori dei ragazzi e delle loro palle piene di autografi. Eravamo di nuovo liberi. Forse non è casuale l’aggettivo “Magica” …

In effetti la Caja, in questi otto anni, ha subìto diverse critiche: qualcuno la definì “pesante” e poco funzionale; Nadal non nascose il disappunto per le troppe zone d’ombra che disturbano la visuale di chi è in campo. In ogni caso è impossibile rimanere indifferenti alla sua magia: non possiamo riportarvi le impressioni durante un concerto, – magari ci sarà occasione e non mancheremo – ci limitiamo al tennis e scriviamo, complice il nostro magnifico sport, di una magnifica atmosfera dove tutto sembra confluire nella giusta direzione. Ultime due cose. La prima: era previsto, in caso di Olimpiadi, un ampliamento della struttura. Chissà, magari il progetto verrà comunque realizzato. La seconda: nei prossimi giorni ha dato pioggia battente ma qui nessuno ci fa caso; i tre stadi si coprono in pochi minuti.

 

 

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