“Non c’è pathos”, “ogni torneo è una sorpresa”, “non ci sono campionesse”, “ogni match è una lotta e diverte”. Sul tennis femminile si sente dire tutto e il contrario di tutto. Questo perché, da sempre più discusso rispetto al maschile, può vantare un ampio ventaglio di tipologie di spettatori e critici. Abbiamo provato a riassumere tutti i seguaci in diverse categorie. Ogni appassionato di tennis non potrà non riconoscersi in una di queste (anche quelli restii ad ammetterlo).
Gli haters impenitenti (o Signor No). Questa è facile, quelli a cui non va mai bene nulla. Se vince sempre la stessa, “che noia”; se ad ogni torneo cambiano le attrici principali, “eh ma queste qui sono troppo discontinue, il livello è troppo basso”; se vincono le grandi colpitrici da fondo, “ormai sono tutte sparapalle”; se la spuntano le pedalatrici, “non fanno altro che correre e buttare la palla di là senza variare”. Insomma, nessuna aggrada i “signor No”. Poi però sono sempre lì a commentare.
Gli esteti(sti). Quelli che “guardo il tennis femminile solo per l’estetica”. Solitamente sono estimatori di Sharapova o Ivanovic (e non propriamente per fattori tennistici), si affrettano a commentare foto delle tenniste in costume o in posa sulle riviste patinate e fanno battute ormai trite e ritrite sul grounting ed il suo accostamento ad un sonoro di un film a luci rosse. Noiosi e prevedibili.
I puristi. Gli irriducibili dei gesti bianchi. Chi spera sempre di veder trionfare una giocatrice dal tocco magico, dal serve & volley, dal rovescio ad una mano. Al giorno d’oggi si aggrappano ad Aga Radwanska, Roberta Vinci e il rovescio di Carla Suarez Navarro. Insomma, chi predilige il tennis d’altri tempi alle vittorie e per questo è spesso scevro di gioie. Le poche che arrivano sono però perle di rara beltà.
I “grandslamisti”. Chi segue il tennis femminile solo durante i tornei del Grande Slam, non conosce la maggior parte delle tenniste a parte le solite note, poi succede che si ritrova una Pliskova in finale agli Us Open e pensa “questa da dove è sbucata”. Per questo spettatore il tennis in gonnella è visto come un modo per ingannare il tempo tra un match maschile e l’altro. Poi scopre che magari gli piace pure e si ritrova ad esaltarsi per una maratona tra Cibulkova e Gavrilova. Per chi invece non rimane folgorato sulla via di Damasco, ritornare al capitolo “Signor No”.
Gli italianisti. Seguono solo le italiane, conoscono solo le italiane, godono dei soli successi tricolore. Che per un italiano ci può stare benissimo. Il problema è che, non conoscendo per nulla o quasi le avversarie (Serena Williams, Sharapova o Azarenka escluse), rimangono delusi per ogni sconfitta, anche per quelle sulla carta ampiamente prevedibili. Qualcuno si limita a dire “che peccato”, altri partono con disamine tecniche o filippiche contro la giocatrice stessa, senza saper riconoscere che, semplicemente, l’altra è più forte e di più non si poteva fare. E tra una finale Slam Federer-Nadal e una finale di Jasmine Paolini all’ITF di Santa Margherita di Pula, scelgono la seconda.
I nostalgici. Della serie “si stava meglio quando si stava peggio”. Quelli che guardano sempre alla generazione antecedente quella contemporanea e si lagnano rimpiangendo il passato. Siamo nel 2016 e si ripensa con malinconia a chi regnava dieci anni prima: “c’erano le Williams, Davenport, Henin e Clijsters, Mauresmo, Sharapova tutte nella top ten; ora abbiamo tenniste omologate e senza personalità, totalmente incapaci di creare contrasti di stile”.
Nel 2006 c’erano le sopra citate, e i nostalgici rimandano con rammarico alla generazione di Graff, Seles, Hingis, Sabatini, Sanchez, Martinez e così via. Insomma, gente incapace di guardare avanti e vivere il presente.
Gli ottimisti. Qui già entriamo nell’ottica di un approccio di favore verso il tennis rosa. Si accettano ben volentieri le atlete attuali, cercando di trovare il lato positivo in ognuna, in ogni match e in ogni torneo (International, Premier o Slam che sia). Se vince sempre la stessa (Serena Williams, per dirne una) si è contenti di assistere al dominio di una grande campionessa, si è grati per aver assistito ai record infranti, alla storia. Se il mercato offre giocatrici (e partite) simili, ci si esalta per quelle, sforzandosi vedere il buono in ognuna di essa. I colpi da ferma della Kvitova, il pressing da fondo della Azarenka, le doti di ribattitrice e lottatrice della Cibulkova. Via, ci si adegua ai tempi che corrono e a quel che passa il convento.
I lovers (o amanti ciechi). Questo è uno stadio successivo a quello precedente, perché qui si è proprio amanti convinti del tennis femminile. L’esatto contrario degli haters del primo capitolo per intenderci. Se vince sempre la stessa, “che campionessa”; se ad ogni torneo cambiano le attrici principali, “c’è incertezza, è bello cambiare, non sai mai quale sorpresa riserverà il torneo e se tante arrivano a giocarsela vuol dire che il livello medio è alto”; se vincono le grandi colpitrici da fondo, “che prova di forza, colpi che lasciano a bocca aperta”; se la spuntano le pedalatrici, “che abnegazione, che cuore”; se i match finiscono in un baleno in favore di una top player, “un match perfetto, ingiocabile”; se i match sono infiniti, “che lotta pazzesca”. Insomma, va sempre bene tutto.
I sadici. Partiamo dal postulato che questi soggetti sono fan sfegatati del tennis femminile. Lo seguono ad ogni livello, dall’ITF allo Slam. Conoscono ogni giocatrice ma si appassionano per chissà quale mistero a quelle semi sconosciute. Se sui campi coperti dalle telecamere è prevista una partita di richiamo, vanno a cercarsi qualche streaming talebano per il campo 318 per roba del tipo Soylu-Sakkari. Oppure, per qualche malvagio e cinico segno di compiaciuto autolesionismo, si fiondano sulle partite più improbabili, lunghe e drammatiche del programma. Uno Strycova-Siegemund con tre set finiti 5-7 7-5 7-5, per dire (è successo davvero, che ci crediate o no). E godono pure quando una delle due si fa rimontare da 5-0 al quinto o getta alle ortiche un vantaggio di un set e 3 break. Inquietudine e stima.
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