R. Federer b. D. Evans 6-3 6-4
Game, set and match Raonic. Parole pesanti come pietre. Venerdì 8 luglio 2016 l’orgoglio che lo aveva salvato nel turno precedente dalla palla pesante di Marin Cilic non poteva più bastare. Ed è stato quello stesso sentimento a fermarlo, quanto e forse più di un ginocchio malandato o di un fisico che chiedeva requie. Oggi, dalla parte opposta del mondo, dopo mesi passati nell’improbo compito di raccontare un’assenza, il tempo ha ricominciato a scorrere. Sembra che il 29 dicembre fossero in 8.000 a vederlo palleggiare blandamente contro il ventinovenne n° 698 australiano Matthew Ebden, il quale, se possiede un camino e avrà dei nipoti, saprà bene come trascorrere le fredde serate invernali. E due giorni fa, al party di capodanno nella Grand Ballroom di Perth, Roger è apparso in gran forma al fianco di Belinda Bencic. Smoking impeccabile, sorriso sicuro.
Del resto, fin quando lo vorrà, il Re rimane lui. Gli 8.000 del 29 dicembre e i fiumi d’inchiostro scritti in poco più di 5 mesi su Roger Federer sono il segno di una grande speranza e di un grande vuoto. La speranza che il campione, il dio della racchetta, possa ancora una volta imporre la sua legge dove conta contro l’horror vacui che sembra attendere il tennis dopo di lui. Ma non c’è nulla da temere. Per chi ha memoria del prima, per chi ha ancora negli occhi il giovane Borg o il McEnroe del 1979 la paura non esiste, rimane solo il puro piacere di godersi ancora le pennellate di un Leonardo, i colpi di scalpello di un Michelangelo, le intuizioni di un Brunelleschi. Perché sempre di genio, seppur tennistico, stiamo parlando. E ci vuole rispetto.
La realtà odierna racconta di un n°16 mondiale e di una stagione da programmare attentamente. L’annus horribilis è ormai alle spalle e il 2017 si presenta impegnativo.
Murray è finalmente in vetta, Djokovic avrà metabolizzato la separazione da Becker, Nadal punta ad un altro Slam e un branco di giovani leoni è in caccia.
Ma prima bisogna rompere il ghiaccio e alle 17 e 30 ora locale la Perth Arena diventa l’ombelico del mondo a forma di pallina. Roger non disputava la Hopman Cup da 15 anni
L’ingresso stile wrestling, con Daniel Evans per primo e inquadratura sulle porte chiuse che infine si aprono è di grande effetto ma dubbio gusto. Il pubblico apprezza.
Sorteggio (Evans sceglie di rispondere), foto di rito, palleggio di riscaldamento, primo punto. Ace. Poteva essere diverso? In polo celeste e calzoncini bianchi Federer si mostra subito intraprendente, le gambe lo portano bene sopra la palla, consentendogli anticipi mortali come un doppio dritto nel terzo gioco o un super passante lungolinea in controbalzo poco dopo per la prima palla break. Il livello cresce, Evans è un giocatore completo, un combattente di pura tradizione britannica ma nel sesto le sue difese crollano contro una gran risposta d’incontro seguita da un definitivo dritto incrociato. Tutto perfetto, tutto scritto, anche il modo nel quale lo svizzero supera l’unico momento di difficoltà del primo set.
Nel settimo gioco il dio del tennis si riposò…
Il secondo doppio fallo e un erroraccio portano Roger sotto 15-40 ma il modo nel quale polverizza la prima palla break dà il senso di una fiducia intatta e incrollabile. Evans stecca la risposta, la palla vola alta, sghemba e lunga verso il lato destro di Federer, forse uscirebbe ma a scanso di equivoci lui colpisce un dritto al volo da fondocampo che centra il sette opposto. Senza parole. Il resto è routine, due servizi vincenti e un delizioso ace in taglio esterno. Il match è tutto qui perché dallo scampato pericolo in poi il Re scioglie ulteriormente il braccio fatato, chiude 6-3 e brekka in apertura di secondo set. Un fotogenico smash “alla Sampras”nel quarto gioco fuga ogni residuo dubbio sullo stato del ginocchio, un passante lento con riflessi da ping pong nel sesto rinnova la magia, il resto è un grande classico. Sai già come finisce ma ti piace lo stesso. Avanti così Re Roger, non ti lasceremo solo nella tua impari lotta, la lotta del talento contro il tempo.
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