TENNIS – PARIGI – Di DANIELE AZZOLINI. Forse sono le fettuccine di mamma Piccari, a farla sorridere alla vita, quella dimensione familiare che ha assunto il suo tennis, tutto casa e fidanzato; il calore che viene dalle consuetudini condivise, dagli sforzi comuni, dagli obiettivi inseguiti serenamente, non più da sola. C’è Francesco Piccari con lei, fidanzato e coach, e Karin lo cerca con gli occhi dopo ogni colpo.
Forse è il rifugio trovato ad Anzio, lei che è nata sulle Alpi, a scaldarle il cuore, dopo tanti slalom fra le avversità che le ha tirato addosso una vita sportiva trascorsa, sin qui, più in infermeria che sul campo. Certo è che rincuora, una come Karin Knapp, in quest’Italia tennistica un po’ acciaccata e sin troppo isterica, nella quale l’unico filo comune che sembra collegare storie, volti e sconfitte fra loro differenti, sia quel “bisogno di staccare”, di “prendersi una pausa”, che tutti e tutte reclamano a gran voce, sollevandolo come uno scudo alle critiche, o magari all’incapacità di guardarsi allo specchio.
E allora, ben venga Karin, una volta di più risorta a nuova vita, rilanciata da un risultato inatteso, battagliera ed energica nel tirare fuori più di quanto possa permettersi la sua forma fisica, ancora incerta dopo l’ennesimo infortunio. Ben venga ad allietarci i cuori e risollevarci lo spirito, e magari anche a farci dimenticare la sequenza inusitata di battaglie perse, alcune buttate vie senza un perché, che capovolge e stravolge quelle sensazioni di orgoglio che venivano dagli Us Open tutti italiani di Flavia e Roberta, appena nove mesi fa. Ieri Errani e Vinci, oggi un Fognini irriconoscibile nel giorno del suo ventinovesimo compleanno, un Seppi senza idee, e poi Lorenzi, la Schiavone… Ben venga Karin, anche perché la prima vittoria tricolore giunge da una tennista (la Giorgi) che per l’Italia non vuol più giocare, mentre la Knapp finisce per restituirci qualcosa che appartiene a tutti, una italianissima vittoria. Sudata, partecipata, inseguita. E contro una giocatrice di grido, seppure in difficoltà fisiche, Victoria Azarenka, prima accreditata alla successione di Serena Williams.
Cinque operazioni, due al cuore, tre al ginocchio destro, e tutte a rischio carriera. Può una ragazza che ha subito così tanto scomporsi alle lacrime di Vika Azarenka quando quella avverte la bua al ginocchio, e strepita, e piange? «La conosciamo, Vika, talvolta esagera. Mi dispiace per lei. Ma io pensavo alla mia partita, a mettere insieme una vittoria di cui, se mi permettete, ho più bisogno io che lei». Ed è arrivata, alla fine, fra le lacrime della bielorussa costretta al ritiro (tornava dopo un problema alla schiena), e dopo due tentativi andati a vuoto, nel secondo set, quando Karin ha servito per il match. Lì Vika ha dimenticato i malanni, ha annesso il tie break, poi il dolore è tornato e Karin ci ha dato dentro, implacabile, permettendosi un’esultanza finale che sarebbe un errore giudicare poco sportiva: fuori sei mesi per l’ultimo intervento al ginocchio, Karin non vedeva l’ora concedersi un po’ di gioia. Come si fa a non capirlo?
«Sono qui con Francesco», dice. Buon giocatore di challenger fino a quattro anni fa, Francesco Piccari, ha lasciato il tennis per dedicarsi a Karin. «Ho trovato la mia dimensione», dice lei. «Casa, campo, problemi comuni, la voglia di risolverli assieme». Parigi la rilancia, il prossimo passo è contro una ragazza che può crearle problemi, la Sevastova, ma non importa. Per Karin ogni vittoria è come un ritorno alla vita.
Resta l’immagine malandata del nostro tennis. Resta l’espressione contrariata di Fognini, che perde da Marcel Granollers e non si capisce il perché. «Non ci sto con la testa», dice. Restano in gara solo due azzurre. E meno male che una di loro è Karin.
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