Da Indian Wells ai diritti delle donne: il marzo 'pazzo' di Nicole Gibbs

TENNIS – Traduzione di Diego Barbiani

Nicole Gibbs, classe 1992 e n.71 nell’ultimo ranking WTA, sta vivendo un 2016 molto importante sia sul piano sportivo che umano.

Dopo aver trovato ordine e serenità nella sua carriera, si è fatta conoscere anche per l’ interesse nei confronti delle proprie compagne, da più parti accusate di essere ‘sportive di serie B’ dopo le dichiarazioni di Raymond Moore ad Indian Wells. Già da un paio di settimane, Gibbs ha cominciato una rubrica per il sito della WTA intitolata ‘Gibbs of gab’, che riprende il termine ‘gift of gab’, ovvero ‘parlantina sciolta’, e questa volta non poteva non raccontare quanto le è capitato in un marzo che non potrà dimenticare facilmente, dove ha raggiunto i primi ottavi di finale in un Premier Mandatory (Indian Wells) ed è diventata la paladina di tutto il movimento quando a Miami ha preso attivamente parte alla conferenza stampa straordinaria organizzata da Billie Jean King e Chris Evert. L’articolo su Twitter ha avuto un successo notevole, e noi vogliamo proporvelo nella sua interezza.

Prima di entrare in campo sul centrale, lunedì sera, mi ero preparata allo scenario peggiore. Nei momenti prima del match, sui monitor televisivi nella palestra, potevo vedere che c’erano ancora pochi fan seduti al loro posto. Mi preparavo ad una sgonfia entrata in scena ed ad un distante – se non proprio freddo – pubblico di meno di un migliaio di persone in uno stadio da 14.000 posti.

Questa non era una nuova routine per me. Venendo dagli ITF o da tanti match di qualificazione, sono molto abituata a vedere posti vuoti, se non stadi interi vuoti come era il centrale prima che entrassi. “Non devi pensare a quante persone ci sono o quale atmosfera c’è, devi pensare al tennis” un mantra familiare attraversava la mia testa, praticamente col pilota automatico.

Questa volta, io ho fatto completamente male i conti. Centinaia di fans stavano entrando nello stadio appena lo speaker ha annunciato il mio nome e questo ha creato anche un’ondata di energia nuova. Non era quella che vissuto sul campo 1 per l’ultimo turno di qualificazioni, né quello sul campo centrale per il match delle 11 del mattino. Questa energia era qualcosa che realmente non avevo mai percepito e che mi ha messo in difficoltà. Nel frattempo, per la mia avversaria e n.4 del mondo (Garbine Muguruza, ndr), non era nulla di nuovo. Totalmente considerato, una giornata come un’altra.

Avevo la sensazione che questo potesse crearmi dei problemi quando siamo passate, nel riscaldamento, alla fase sui colpi di volo. I primi, colpi su cui normalmente faccio affidamento per la costanza (e generale non schifezza) finirono dappertutto. Steccato. Mancato. Steccato. Steccato. Lungo di 5 metri. “Oh Dio”. Al cambio campo dopo il riscaldamento cercavo di tranquillizzarmi: “Puoi farcela. Concentrati sul tennis, non c’è nulla da perdere. Tu fai parte di questo mondo”. Mi sono alzata dalla sedia e preparata a servire il primo punto della partita.

“Ready, play”. Il brusio del pubblico era diventato totale silenzio. “Quando si è fatto così buio? Io non riesco a vedere alcuna faccia tra quelle nel pubblico. Wow, queste luci sono davvero, davvero luminose”. Tutti tra il pubblico potevano vedermi, ma io non potevo vedere loro. Potevo solo sentirli qui vicino. La mia testa stava ruotando ovunque, mi sentivo completamente disconnessa dal mio corpo. In qualche modo, ho vinto il primo game.

E quello sarebbe stato anche l’ultimo game che avrei portato a casa.

Verso un momento in cui normalmente potrei considerarlo, nel match, come una partenza nervosa, circa sul 4-1 per l’avversaria, le cose sono addirittura peggiorate. Il mio servizio era sparito, io non mi stavo muovendo bene a sinistra, il mio corpo sentiva la tensione, e la mia avversaria stava giocando un altissimo livello di tennis. Questo era un incubo. Sul 6-1 2-0 per lei, ho fatto i conti con un nuovo ed ancor più grande senso di disperazione. Durante la settimana ho discusso parecchio a proposito dell’uguaglianza del montepremi nel tennis, ed ora stavo dando un esempio importante a favore della tesi opposta. La discussione andava avanti nella mia testa: “La WTA offre un prodotto inferiore all’ATP” e “I top-player raramente spendono tempo in campo perché non c’è questa incertezza nel tennis femminile”.

Io dicevo a me stessa: “Ti prego, fai qualche game e rendi il match più lungo o più interessante. Ti prego, non dare alle persone un nuova ragione per chiamarti, o più importante, per chiamare il tuo sport, uno scherzo..”.

Tutti voi stareste leggendo e pensando: “Wow, davvero lei pensava tutto questo durante la sua partita?”. Sì, lo facevo. Ma questo non è nulla di nuovo. Come atleta femmina, può capitare che ogni tanto io debba combattere per il rispetto dei miei diritti. In quel momento vedevo già i tweet post-match dire: “Ahah, 55 minuti in campo ed 1 game vinto e chiedi pure lo stesso pagamento?”, oppure, “Sei ridicola tu che pensi che le tue opinioni interessino a qualcuno, tu sei una giocatrice WTA da quattro soldi”, o ancora una reinterpretazione di “Torna in cucina, lì dove sei sicuramente più utile”.

Il più delle volte, è facile vedere questi messaggi con la giusta dose di umorismo. Queste non sono le persone a cui do valore per le loro opinioni. Così, se tutto ciò si fosse fermato lì, con qualche isolato messaggio di odio su Facebook o Twitter, sarebbe stato tutto ok. Ma c’è stato altro.

Per me, è diventata abitudine sentirmi dire che quello che faccio è di seconda classe. Dopo i commenti di Raymond Moore ad Indian Wells una settimana fa, ho ricevuto messaggi provocatori da giocatori dell’ATP, sostenendo che Moore avesse pienamente ragione. Un numero infinito di persone, maschi e femmine, mi dicevano che i gonnellini sono il principale motivo di reddito del tennis femminile. Alcuni ragazzi in età da liceo mi hanno sfidato perché certi di non poter perdere da una ragazza, un coach maschio mi ha detto: “Nel tennis femminile, non devi avere talento per avere successo”.

Credevo di averle viste tutte. In realtà, no. Vivo in un mondo privilegiato dove l’idea di uguaglianza è attualmente in discussione. La maggior parte delle donne devono affrontare problemi come il femminicidio infantile, le violenze domestiche, pericoli che vanno molto al di là delle questioni di rispetto e di soldi. Quanto tempo ci vorrà ancora perché, nella comunità globale, la mancanza di rispetto e di opportunità non siano più preoccupazioni solo per poche donne fortunate?

Nel frattempo, Billie Jean King mi ha detto che io ho una piattaforma (i social network ed il sito WTA, ndr) per esprimere i miei pensieri, e continuerò a farlo. Perché, un giorno, vorrei dire ad una mia futura figlia di lottare per vincere un game sotto 6-1 2-0 perché lei odi il pensiero di prendere un ‘cappotto’, non perché sia preoccupata che un ‘cappotto’ possa indebolire il suo diritto all’uguaglianza.

 

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