Lo sport ha la responsabilità di combattere la violenza di genere. Con i suoi valori paritari e la sua risonanza mediatica, lo sport ha una voce per fare la differenza. Ha una voce per iniziare il cambiamento. Oggi ce la fanno sentire uomini e donne, schierati insieme contro ogni forma di durezza e diversità. Oggi che, […]
12 Feb 2016 18:00 - ATP
Esclusiva / Tschabuschnig, manager di Starace: «L'inchiesta scommesse? Un momento difficilissimo per entrambi»
di Redazione
TENNIS – Di Adamo Recchia
Corrado Tschabuschnig, manager di diversi giocatori tra cui Potito Starace, ha accettato il nostro invito per un’intervista. In passato è stato anche lui un tennista professionista, salvo poi dirigere le proprie attenzioni verso un nuovo ruolo all’interno del mondo del tennis.
Inizialmente fondò una società in Germania poi decise di lavorare per conto suo costituendo la Top Seed, società che ora ha più di 20 anni e conta di 4 manager che svolgono a tempo pieno questa professione. Oltre a Dolgopolov, Corrado segue molti altri giocatori. Tra i più conosciuti ci sono: Viktor Troicki, Alexandr Dolgopolov Simone Bolelli. Ne abbiamo approfittato per chiedere qualcosa a proposito della vicenda giudiziaria che ha colpito quest’ultimo, inoltre come si gestisce una clientela così universale.
Qual è stato il tuo primo incontro col nostro sport?
«Da piccolo ricevetti in regalo da mio padre una racchetta Dunlop di legno da un suo viaggio di lavoro. Era bianca, gialla e blu. Iniziai a tirare pallate contro il garage del vicino di casa ogni giorno, avevo 6 anni. I miei genitori avevano paura della scogliosi, ai tempi il tennis veniva sconsigliato ai bambini piccoli, ma dopo due anni di assordanti pallate contro il muro e di arrampicate pericolose sui tetti per recuperare le palline, mi iscrissero ad un corso di tennis. Facevo un’ora settimanale con altri venti bambini. Me lo ricordo come fosse ieri, con il maestro Pellicani al Tennis club Malaspina».
Come è nata l’idea della società Top Seed?
«Ho sempre amato questo sport, fin da piccolo. Quando ricevetti la racchetta decisi che volevo vincere Wimbledon. Finita la maturità alla scuola tedesca a Milano, mi sono trasferito in Austria per fare il tennista. Ma ero un B4 o forse un C1 quell’anno e quindi di strada ne avevo veramente molta. Pur lavorando come un forsennato per anni, mi accorsi purtroppo ben presto che i Safin e i Federer che incontravo nei tornei erano predestinati e che io, con i miei due punticini presi in Uzbekistan non lo ero. A Wimbedon con la racchetta in mano non ci sarei mai arrivato. Fu allora che mi capitò l’occasione di entrarci dalla porta di dietro. Era il giorno del mio ventiduesimo compleanno, a Guayalquil. Il tedesco che mi aveva stracciato al primo turno del torneo satellite, Jürgen Wagner, mi invitò a cena e mi propose di piazzare insieme i giocatori italiani nella Bundesliga tedesca. Detto, fatto. Aprimmo la Wagner & Tschabuschnig a Monaco di Baviera. Il connubio durò poco, perché avevamo idee diverse di business: lui voleva incassare i soldi dai club e dare le briciole ai tennisti e io proprio non ce la facevo. Ci separammo ed io fondai la Top Seed, da solo, all’Aia, in Olanda. La fortuna volle che un tale Bosman proprio l’anno prima avesse aperto le frontiere a tutti I giocatori comunitari, e io, parlando qualche lingua, divenni il punto di riferimento per tutti i giocatori dai top 50 in giù per I campionati a squadre. Dopo circa un anno, grazie alla Legge Bosman, avevo concluso duecento contratti con circoli in tutta europa. Alcuni dei miei clienti come Thomas Schiessling o Dennis Van Scheppingen giocavano in sei campionati diversi. Ero capitato nel posto giusto nel momento giusto. Piano piano poi iniziai a muovere I primi passi nelle sponsorizzazioni e firmai i primi contratti di esclusiva coi giocatori e chiesi aiuto ad altre persone».
Di cosa si occupa?
«Gestiamo la carriera di giocatori di tennis, al momento solo nel settore maschile. Li aiutiamo a trovare il team adatto a loro e a finanziare il loro cammino, poi man mano che salgono in classifica iniziamo ad occuparci di tutti gli aspetti manageriali: dalla logistica, agli sponsor, le garanzie, la comunicazione, le tasse, le assicurazioni, la residenza, gli investimenti…. Praticamente tutto quello che serve ad un tennista. Lui gioca a tennis, il resto lo facciamo noi. Chiaramente non facciamo tutto da soli, ma utilizziamo il know how di specialisti nei vari settori. Castruccio Viaggi, Lifecompass, Craig Gabriel, John Anthony, Lo studio Chiusano e molte altre persone che da anni lavorano con successo nel campo del tennis. Da qualche anno poi forniamo consulenze per aziende del settore e tornei, e aiutiamo alcuni marchi importanti nelle loro distribuzioni, come la ditta Hydrogen o la ditta Lotto Sport Italia».
Segui dei tennisti di livello come Dolgopolov e Troicki, quali sono le emozioni che provi quando segui i loro incontri?
«L’emozione di assistere ai match dei nostri ragazzi è qualcosa di unico, soprattutto quando si è fatta tanta strada insieme. Viktor era 500 esimo al mondo e non sapeva se studiare o giocare a tennis quando abbiamo cominciato. Sono shock di adrenalina continui, sono costanti cambi di umore e di aggiustamenti. Per poter stare nel loro box senza fare dei danni, devi conoscerli bene. Sapere quando stare zitto e sapere quando urlare, accorgersi quando stanno perdendo il filo del match o quando invece sono nel tunnel e non vanno svegliati. Spesso le fidanzate queste cose non le sentono, ma I loro coach e io le teniamo a bada. Ad ogni torneo raccogliamo energia per poter poi rintanarci per settimane nei nostri uffici guardano uno schermo del PC per 12 ore al giorno».
Segui anche Potito Starace e Simone Bolelli. che differenza trovi tra un tennista italiano ed uno straniero nella gestione dello stesso?
«Con Potito o con Simone comunicare è molto facile, ci basta uno sguardo. L’italiano però allo stesso tempo fa più fatica a dirti le cose in faccia. A volte ci gira intorno, per paura di ferirti o di offenderti. E quindi problemi piccoli possono diventare grandi perché non vengono affrontati per tempo. Un russo o un ucraino è molto più capace di separare la professione dall’amicizia. Ci posso essere sfuriate e tirate di orecchie, senza che il rapporto di amicizia ne risenta. Un altro limite dei nostri ragazzi italiani è che non si fidano pienamente. Filtrano troppo le informazioni che ricevono e scelgono quelle che gli fanno comodo, invece di affidarsi completamente, anche se all’inizio le cose non vanno bene. Viktor Troicki non è necessariamente il tennista con il talento più grande, ma è quello che si affida completamente al suo team e non a caso quello che ha raggiunto il ranking più alto (numero 12)».
A proposito di Potito Starace raccontaci quello che puoi sulla vicenda scommesse è stato difficile gestire quel periodo.
«Difficilissimo. Come è stato difficile il periodo della squalifica di Viktor. In queste situazioni io divento l’ancora di salvataggio e devo iniziare una battaglia in un mondo a me sconosciuto. E una responsabilità molto pesante. Credo che l’importante sia far sentire al giocatore che gli credi e che sei a disposizione. Poi cercare i lati positivi della faccenda e farglieli vedere. La cosa più difficile è il rapporto con i media. La stampa ama gli scandali, e inventa storie fantastiche pur di vendere qualche copia di giornale o avere qualche click. All’inzio controbattevamo ad ogni articolo con una diffida, una contro-intervista, un comunicato. Poi ci siamo accorti che era una causa persa. Un lavoro logorante che ti toglie il sonno e distrugge noi e il giocatore. La cosa migliore è mandarlo a sciare, non fargli leggere I giornali e aiutarlo a dimostrare la propria onestà in tribunale. L’ennesima bufala giornalistica serve solo ai lettori per tirare fuori un po’ di rabbia soppressa e a sentirsi meglio per qualche minuto. Tanto la gente dimentica tutto il giorno dopo. Ho chiesto a mio figlio tennista se conosce Bjorn Borg. Mi ha risposto che è un marchio di mutande».
Come giudichi l’attuale momento del tennis italiano e quali sono i tuoi tennisti preferiti ovviamente non considerando Potito e Simone?
«La generazione di Fognini, Seppi, Starace, Bolelli e Volandri è stata molto forte. Sono stati per anni t
este di serie negli Slam e tutt’ora alcuni di loro sono al vertice. Credo che Fabio e Simone non abbiano ancora espresso tutto il proprio potenziale. Spero per loro che riescano a farlo nei prossimi due-tre anni. A livello umano sono tutti bravissimi ragazzi, onesti e divertenti. Ci si sta proprio bene insieme, e non ci si annoia mai. Dietro sono in arrivo giocatori dal grande potenziale, come Donati, Berrettini, Mager, e Sonego. Ma dovranno farsi ancora la mascella, giocare a livello top 100 vuol dire avere grandissima continuità di rendimento e vincere molte partite giocando male»..
Sappiamo che svolgi anche il ruolo di formatore, come ti trovi in questa veste?
«Molto bene. Ho organizzato qualche corso insieme al mio amico Jean Christophe Catagliotti, conosciuto tramite Flavio Cipolla. Cerco di trasmettere a aspiranti manager il mio entusiasmo e la mia esperienza. Mi piace di insegnare quello che avrei voluto sapere io vent’anni fa e nessuno mi ha mai spiegato. Tanti esempi pratici, situazioni vissute, casi da risolvere».
Se una persona volesse intraprendere la carriera di manager di tennisti che consigli ti senti di dare?
«Di base bisogna sapere le lingue e capirne di tennis. Ma che lo scoglio maggiore per diventare il manager è quello del denaro. Come non diventi tennista senza denaro, non diventi nemmeno manager. All’inizio non guadagni praticamente niente, e può durare anni prima che un manager peschi il cavallo vincente, come capitò a me con Potito 16 anni fa. Io consiglierei di iniziare a farlo part-time, come un secondo lavoro, per poter disporre di mezzi per viaggiare e non dover lucrare troppo sui pochi giocatori che un manager avrà all’inizio. Il risultato sportivo del tennista deve essere sempre al primo posto per un manager, e per questo il manager deve essere possibilmente libero dai soldi e quindi economicamente indipendente».
Negli ultimi anni molti grandi giocatori scelgono ex giocatori come coach, cosa pensi?
«Arricchisce il circuito. Per i top player che ambiscono a vincere dei tornei dello Slam, credo che sia un grande aiuto avere accanto qualcuno che gli Slam li ha già vinti e rivinti. Ti trasmettono quel senso di normalità nel fare le cose straordinarie. Poi credo che per potersi migliorare ancora quando già si è arrivati fra i primi, un giocatore abbia bisogno di qualcuno che consideri maestro e non istruttore o coach. Qualcuno di cui fidarsi ciecamente perché viene visto come superiore a se stesso. Settimana scorsa ero seduto accanto a Boris Becker durante il primo turno di Viktor contro Munoz de la Nava. Stava partecipando al 100% al match come se giocasse lui e commentava e conversava con Jack Reader della partita. Il tono di voce di quei due, completamente rilassati e consapevoli, mentre Viktor perdeva un set dopo l’altro, poteva solo venire da chi in quelle situazioni è stato mille e mille volte. Viktor ha girato la partita, grazie anche a chi c’era fuori che gli dava quella tranquillità di guardare alla partita punto dopo punto, pur essendo sotto di due set e un break, contro un giocatore in serata di grazia. Poi è bellissimo quando si incontrano fra di loro e si ricordano le avventure e le loro partite. Per uno come me che le ha viste in Televisione è come essere ad un parco dei divertimenti».