Kimiko Date Krumm, una lettera per non dire addio: "Ho 45 anni, e allora? Amo troppo il tennis"

TENNIS – Di Diego Barbiani

Classe 1970, Kimiko Date Krumm ha deciso di non voler smettere di giocare perché ‘amo troppo questo sport, le sue sfide e la vita nel circuito’.

Questi sono i tre passaggi più importanti della lettera in cui ha aperto a tutti gli appasionati le porte della sua vita personale, ripercorrendo i primi passi in questa avventura cominciata quarant’anni fa in un circolo tennis giapponese e che ancora non trova fine. Non vuole trovar la parola ‘fine’, perché come tiene a precisare lei stessa: “Mi diverto troppo, l’età non è che un numero”. Personaggio strepitoso, abbiamo deciso di riproporre per intero la sua lettera apparsa sul sito ‘tennis.com‘.

“Sono ben a conoscenza che ormai la maggior parte delle mie avversarie sono giovani abbastanza da poter essere le mie figlie. Lo so, è incredibile. Ma una volta che vado in campo non è una cosa che mi è mai passata per la testa. Dopo tutto, le mie avversarie sono uguali a me.

Quando per la prima volta sono tornata nel mondo del tennis professionistico, non avrei mai immaginato di essere ancora qui otto anni dopo. Ma a 45 anni continuo a giocare perché io amo questo sport ed ho ancora l’opportunità di giocare nel circuito WTA.

Non mi arrendo, perché so che sono ancora capace di grandi momenti come la mia vittoria su Sabine Lisicki a Stanford la scorsa estate. In quel match ero sotto 1-6 1-4 ma sono stata in grado di tornare in corsa contro una giocatrice potente e completa. La prossima volta in cui starò affrontando una sconfitta, ricorderò cosa feci in quell’occasione.

Continuo a giocare perché, insomma, non sono mai stata brava a stare seduta. Sono cresciuta in una famiglia molto attiva. Le vacanze erano sempre in montagna o al mare ed abbiamo sempre praticato sport tutti insieme. Quando ero alla scuola elementare, i miei genitori mi portarono per la prima volta in un circolo tennis. Dopo la scuola, mentre i miei fratelli e le sorelle più grandi giocavano coi loro amici, io li guardavo piuttosto impaziente. Poi un giorno presi una racchetta in mano ed ho cominciato a competere contro altri ragazzi del circolo. Avevo solo sei anni, eppure ero già piuttosto brava. Per lungo tempo l’ho fatto perché mi divertivo, poi a 17 anni ho deciso di fare del tennis la mia ragione di vita ed ho cominciato ad avere successo nei tornei in Giappone. Da quando sono diventata professionista nel 1989, il mio ranking ha cominciato a crescere sempre più.

Mi è sempre piaciuto giocare di fronte a tantissime persone nei grandi stadi, soprattutto quando giocai contro Steffi Graf. Quel giorno tirammo fuori il meglio l’una dall’altra. Eppure c’era qualcosa nel circuito WTA che continuava a non piacermi. Tutto era diverso. Non c’erano internet e cellulari e non c’erano neppure atleti giapponesi, anche fuori dall’ambito tennistico. Così, tutte le attenzioni dei media del mio paese finivano per essere rivolti su di me.

Ero molto giovane e la pressione ad un certo punto è stata insopportabile. Non capivo bene l’inglese, così mi ritrovavo a vivere questa situazione tutta sola. Se volevo continuare a sfidare le migliori del mondo, dovevo continuare a lavorare tantissimo. Ma non avevo più motivazioni per farlo.

Nel 1996 ho deciso di ritirarmi dal tennis e di godermi la mia vita. Ho passato tantissimo tempo con la mia famiglia ed i miei amici, ho imparato a cucinare frequentando una scuola di cucina, ho corso maratone ed ho fatto tante altre cose divertenti. Il tennis non mi è mai mancato, anche se mio marito, dopo il matrimonio del 2001, continuava a chiedermi perché lo avessi fatto. Mi vedeva ancora in forma, giovane. Gli rispondevo sempre che no, la mia carriera era finita.

Per circa 10 anni non ho quasi mai preso in mano una racchetta, solo occasionalmente quando giocavo con mio marito. Nel 2007, però, ho accettato di partecipare a delle esibizioni in Giappone con Graf e Navratilova. Sapevo di dover allenarmi per giocare con loro in maniera decente, così ho ricominciato a lavorare sul mio fisico. Fu difficile perché dovetti imparare tutto di nuovo, pure come seguire la palla con lo sguardo, eppure mi è subito piaciuto. Lentamente, la mia mente ha cominciato un nuovo percorso. Ho pensato che se le esibizioni fossero andate bene avrei potuto partecipare ai campionati nazionali giapponesi in novembre. Dopo quelle esibizioni ho partecipato a qualche ITF in Giappone. Nel primo, dopo aver passato le qualificazioni, sono arrivata fino alla finale.

Arrivata ai campionati nazionali, il mio obiettivo non era più partecipare: volevo vincere sia il singolo che il doppio. E ce l’ho fatta. A fine 2008 il mio ranking mi permetteva di viaggiare in Australia per le qualificazioni dell’Australian Open. «Vai, devi farlo» disse mio marito. Da quel momento non ho più mancato uno Slam.

Il tennis di oggi è molto diverso da quando lo lasciai nel 1996. E’ molto più fisico e tutte colpiscono con molta più forza. Noi eravamo abituate ad avere più tempo per colpire durante gli scambi, ma ora devo essere sempre reattiva su ogni palla. Non ho molti muscoli e non sono molto alta, così devo sempre mescolare le mie carte. Uso slice, palle corte e cerco la rete per finire i punti.

L’aspetto fisico poi è importante, perché se ne faccio troppo il mio fisico ‘crolla’ e se non ne faccio abbastanza non posso competere con le più giovani. Recuperare dalla fatica è sempre lo sforzo più duro: durante la mia prima carriera mi bastava una notte per riposare, ora è più complicato. Dopo le partite bevo dei drink ricchi di proteine, faccio stretching, poi una vasca bollente con sali benefici, poi devo dormire il più possibile, diciamo sulle nove ore.

D’altro canto, però, la vita nel tour ora è molto più bella e divertente. Sebbene mio marito non giri con me nel tour (come me, non è in grado di stare seduto e guardare) internet rende tutto molto più semplice per tenersi in contatto, ci sono molti giapponesi con cui passare del tempo insieme. Mi diverto spesso con Kei Nishikori, andiamo a mangiare carne insieme quando siamo negli stessi tornei.

Quando ero giovane, perdere per me voleva dire la fine del mondo. Ora sono felice anche solo perché posso giocare a tennis. Per esempio, sebbene abbia raccolto tantissime belle vittorie, il mio ricordo più bello è la sconfitta contro Venus Williams a Wimbledon, nel 2011. Persi 6-7 6-3 8-6 ma fu un momento bellissimo della mia carriera. Stavo lottando alla pari contro una cinque-volte campionessa di Wimbledon. Il tetto chiuso sul Centre Court, lo stadio pieno che mi tifava… Fu davvero emozionante.

In questa mia seconda carriera ho imparato ad apprezzare le sconfitte ma non ancora i miei infortuni. Odio quando mi costringono a fermarmi, e non voglio che sia proprio un problema fisico a mettere fine alla mia carriera. Così, ogni volta che ho un infortunio, sono ancora più motivata a rimettere a posto il mio corpo ed a tornare in campo dando tutta me stessa.

Amo questo sport. Sono abituata a viaggiare ovunque ed ho meravigliose possibilità di studiare culture diverse e vedere cose diverse. Così, anche se non vinco, mi piace ancora poter giocare a tennis ed ho ancora voglia di competere fino a quando ne avrò la possibilità, E davvero, l’età non è che un numero.”

 

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