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Il serve&volley è ancora vivo. Dustin Brown lo ha dimostrato a Wimbledon

TENNIS – Sono pochissimi i tennisti che fanno serve&volley. Molti (tutti?) pensano che questa tecnica di gioco sia controproducente. Eppure non sempre è così. Dustin Brown ne è la prova.

Nel settembre dello scorso anno Pete Sampras rilasciò un’intervista a ‘Tennis Magazine’. In quella conversazione l’ex campione statunitense dichiarò che se fosse stato un giovane di quest’epoca avrebbe utilizzato il serve&volley sia sulla prima che sulla seconda di servizio, nell’identico modo e con la stessa frequenza di quando lo faceva ai suoi tempi: “Le superfici sono ancora abbastanza veloci, la tecnologia e il mio servizio mi aiuterebbero”, così si espresse ‘Pistol’ Pete.

Ma la stramaggior parte dei giocatori di questi ultimi 15 anni si è ben guardata non solo di attaccare subito dopo il servizio ma addirittura di provare ad approcciarsi, se non in maniera sporadica, dalle parti della rete. E di solito le giustificazioni dei suddetti contrastano nettamente con le opinioni di Sampras: le superfici sono troppo lente e la tecnologia avanzata dei materiali odierni non permette il gioco d’attacco. Questo in sintesi dicono i tennisti d’oggi quando viene chiesto loro del perché non fanno serve&volley o vanno poco a rete.

Aldilà di come ognuno la pensa al riguardo, è un dato di fatto che oggi questa tecnica (e il gioco d’attacco in generale) è poco praticata, sia tra gli uomini che tra le donne. E la nuova generazione, almeno per quanto riguarda coloro che si stanno facendo notare, segue questo andazzo. Ma è proprio così poco redditizio attaccare nel tennis di questi tempi? Forse Sampras non ha tutti i torti, perché almeno nel campo maschile c’è ancora qualcuno in grado di battere perfino i fuoriclasse attuando costantemente l’arte dimenticata del gioco di volo dopo aver servito; e di farlo nel campo e nel torneo più prestigioso. Stiamo parlando di Dustin Brown e della sua vittoria contro Rafael Nadal nel secondo turno di Wimbledon qualche settimana fa.

Il giamaicano delle meraviglie, oltre alle improvvisazioni e ai colpi iperbolici di cui è capace, nel suddetto match  non ha avuto nessuna paura di fare serve&volley: che si trattasse della prima o della seconda battuta, che fosse una palla break per l’avversario o un set point a favore. Nessun timore, nessuna remora. Brown ha giocato anche contro il maiorchino come fa sempre, così come fece l’anno passato ad Halle umiliando il toro spagnolo in nemmeno un’ora di gioco: andando all’attacco, seguendo spesso e volentieri il servizio a rete (così come aveva fatto due anni fa, sempre sui prati londinesi, Stakhovsky contro Federer). Dustin ha dimostrato che si possono battere i più forti utilizzando il serve&volley, oggigiorno evitato dai più come la peste. D’accordo, il Nadal di questi tempi non è quello dei tempi d’oro, però rimane sempre un signor giocatore; inoltre non è la prima volta che Rafa viene sconfitto da un avversario che va a rete dopo la battuta: nel 2007 lo spagnolo perse al Queen’s contro Nicolas Mahut, così come nel 2010 contro il connazionale e amico Feliciano Lopez, anche se di solito quest’ultimi vengono battuti dal fuoriclasse di Manacor.

Nadal non è l’unico giocatore eccellente che ha problemi quando si trova di fronte un tennista d’attacco. Nel 2009 Novak Djokovic perse due match di fila, prima in finale ad Halle, poi nei quarti a Wimbledon, contro Tommy Haas. Il sempreverde teutonico in quel periodo faceva il serve&volley una battuta sì e l’altra pure, riuscendo a sconfiggere l’attuale numero uno del mondo; il Djokovic del tempo non era il RoboNole odierno ma comunque uno che aveva già vinto uno slam, qualche Masters 1000 e che ogni tanto batteva Federer e Nadal.

Si potrebbero citare altri esempi, come lo Stepanek decisivo in Coppa Davis qualche anno fa nella finale contro la Spagna. Ma abbiamo voluto ricordare alcune sconfitte di due fuoriclasse da fondocampo e di difesa contro tennisti che utilizzano il serve&volley perché sono l’emblema di come questa tattica oggi poco giocata abbia ancora, anche in quest’epoca, la sua validità.  Però tutti i tennisti citati, da Brown ad Haas o Stepanek e Stakhovsky, non vincono i tornei importanti e dunque non spronano i più giovani a seguire il loro stile. Ma non è colpa del fatto che vanno a rete. Questi giocatori vincono poco per via di specifici limiti tecnici, fisici o mentali. Lo stesso Sampras, senza il suo servizio devastante, il diritto micidiale, la rapidità negli spostamenti e la mostruosa concentrazione, avrebbe potuto conquistare solo qualche torneo minore: di certo non 14 slam. Nella già sopracitata intervista, alla domanda se si sarebbero potuto vedere nuovi tennisti che seguono il servizio a rete, lo statunitense rispose sconsolato: “Non credo. Non vorrei mai dirlo ma i tempi del serve&volley sono andati. Gli junior copiano i tennisti di vertice, le star del loro tempo. E’ logico che i ragazzi d’oggi giocano nello stesso stile di coloro che dominano in questa epoca”. Dunque non c’è proprio speranza? Bisogna rassegnarsi al fatto che solo grazie a qualche ‘mattacchione’ come Brown possiamo ammirare il serve&volley e che le prossime generazioni proseguiranno soltanto sulla stessa scia di Djokovic, Nadal e compagnia?

Non proprio, perché se prendiamo per vero quello che dice Sampras, cioè che i ragazzi possono ritornare a giocare il serve&volley (aldilà delle difficoltà portate da superfici e materiali delle racchette) solo se vedono qualche fuoriclasse più anziano (vincente) che utilizza, se non sempre, comunque in modo costante il suddetto schema, allora c’è qualcuno che i giovani possono avere come esempio. Uno che ha vinto qualcosina in più (eufemismo) dei vari Lopez e Stepanek. I lettori avranno già capito di chi stiamo parlando. Ma del tennista in questione e della possibilità che, anche su questo specifico aspetto, sia preso a modello dalle nuove generazioni, ne parleremo nella seconda parte dedicata all’argomento.

 

 

 

 

 

 

 

Salvatore De Simone

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