TENNIS – DA WIMBLEDON, RICCARDO NUZIALE – Serena Williams cancella per la 17a volta di fila Maria Sharapova (62 64). E’ stato l’ennesimo capitolo di una rivalità che non esiste, che sminuisce, nella “lotta per il territorio”, la tigre Masha in una gattina impotente.
“Se vi devo dire la verità, non so cos’è successo nel match. Non so come ho vinto. Non so quale sia stata la tattica. Sono semplicemente stata lì a giocare. Non mi poteva importare di meno di quanto stava succedendo fuori dal mio piccolo mondo”.
“Non so cos’è successo. Devo vedere la registrazione. Non penso di…sì insomma, non penso di aver giocato bene e non ho vinto”.
La prima dichiarazione appartiene a Maria Sharapova, la seconda a Serena Williams. Entrambe risalgono al 3 luglio 2004, quando la 17enne Masha, frettolosamente già preda di titolisti e fotografi come nuova lolita del tennis, sconvolse tutti dominando l’allora due volte campionessa uscente di Wimbledon, strappando all’americana il piatto dei Championships.
Impressionante come entrambe le giocatrici, quel giorno, ammisero di non avere idea di quanto successo quel pomeriggio. Nessuna delle due seppe spiegare e spiegarsi quel risultato clamoroso, come se non trovassero in quel 61 64 alcuna spiegazione logica. Come se, già allora, fosse sin troppo evidente quale fosse la spiegazione logica dei loro scontri diretti.
Undici anni dopo, i contorni del massacro prendono sempre più il colore dell’Acheronte. Negli ultimi cinque anni, ovvero dal loro ultimo scontro a Wimbledon prima di oggi, la statistica dice 26 set vinti da Serena e uno da Masha. Quel misero uno arrivò nella finale 2013 di Miami, che l’americana lavò con un 6-0 nel terzo e decisivo set (46 63 60 il risultato).
Una rivalità che chiama il grottesco per almeno due motivi: il primo è che Masha, che la classifica supporti il fatto o meno (da lunedì tornerà a farlo), è considerata la seconda grande fuoriclasse del tennis femminile odierno. La n.2 “giusta”. Parlano gli Slam vinti (Venus ne ha di più, ma da anni non è più competitiva ad altissimi livelli), il suo continuo reinventarsi e mettersi in gioco, l’aver superato infortuni seri tornando a vincere. E’ sempre rinata, diventando addirittura una specialista del rosso. Negli anni ha messo in riga campionesse e promesse, veterane e nuove stelle. Ma se lei è la numero 2 autentica del tennis femminile e non riesce a battere la numero 1 da quasi 11 anni, perdendo 17 incontri di fila, su tutte le superfici e condizioni, in Slam e finali olimpiche, finendo più volte umiliata; se da lunedì, in caso di vittoria di Serena, quest’ultima avrà più del doppio dei punti della Sharapova, significa che la WTA è sorretta da un clamoroso, imbarazzante horror vacui: quella di una numero 2, di una nemesi, credibile.
Il secondo, che si collega al primo, è che la percezione (esatta) di Maria Sharapova è quella di una guerriera indomabile, che ferisce le avversarie con il solo sguardo, che morde i match anche nei momenti di straordinaria difficoltà. Anche oggi il fuoco agonistico non si è mai spento, chiudendo pugni come rosari a ogni misero quindici strappato. La forza mentale della russa, quella glaciale durezza che la rende antipatica a molti e soprattutto a molte, è il fulcro della sua grandezza, che ha sempre colmato le lacune tecniche.
Un fulcro che contro Serena si scioglie, si disintegra, diventa patetico. E lo sanno entrambe. Un controllo che ha probabilmente avuto inizio in quella semifinale australiana del 2005, tutta rimonta e match point annullati, che chiuse la striscia positiva di due vittorie della Sharapova e aprì un complesso d’inferiorità che, da tempo, va oltre il comunque netto divario tecnico.
Oggi, in conferenza stampa, alla domanda su cosa dovrà fare in futuro per giocarsela contro Serena, la risposta di Masha è stata fulminante: “Molto di più di quel che sto facendo”. Nella stoica non resa, c’è molta più lucida disperazione di quanto forse non appaia a una prima lettura.