Esclusiva / Bacsinszky: «Se sono qui è grazie a mia madre. Mio padre? Per me non esiste»

TENNIS – Dal nostro inviato ad Indian Wells Diego Barbiani

Con l’incredibile rimonta su Ekaterina Makarova, Timea Bacsinszky continua l’altrettanto sorprendente marcia di vittorie, toccando ora quota quattordici consecutive. Per la svizzera è un momento magico, mai vissuto prima d’ora in carriera a livello Wta.

Della sua storia se n’è parlato spesso nell’ultimo periodo, ora però lasciamo che sia la stessa Timea a prendere la parola, raccontando del perché abbia voluto ricominciare a giocare ad uno sport da cui stava fuggendo o del perché non riconosce più suo padre come tale, ma anche di come sia maturata in questi dieci anni dove è passata dalla ragazzina che voleva solo stare in compagnia dei suoi amici alla ragazza che ha le idee chiare su ogni decisione da prendere. 

Come ti sei sentita il giorno in cui hai deciso di dare una seconda chance al tennis, lo stesso sport da cui sembravi voler fuggire?

«Fu incredibile. Ho ricevuto una mail in cui mi si chiedeva se volevo andare a Parigi per giocare le qualificazioni del Roland Garros. Mi ero dimenticata di essere iscritta, avrei dovuto cancellarmi perché non giocavo più da tempo. Ho detto sì, fu un momento per me bellissimo. Era così contenta di giocare che ho preso la macchina e sono andata a Parigi da sola, davvero. Non avevo alcun “ma” per la testa, ho preso e sono partita. E dire che in quel momento lavoravo: facevo uno stage per la scuola alberghiera. La ristorazione è sempre stata una delle mie passioni. Lavoravo a Ginevra: per i primi due mesi ho fatto la cameriera, poi per un mese la barista, poi un altro mese avrei dovuto lavorare in cucina e l’ultimo alla reception. Però ho detto “sì” e sono tornata a giocare»

Come mai hai deciso per il sì?

«Ho capito che quella sarebbe diventata la mia vita. Lì però ero io che lo volevo, non qualcun altro. Prima giocavo solo per volere di mio padre, che in realtà non ho mai riconosciuto come tale. Non ricordo, davvero, un episodio in cui è stato affettuoso con me. Io allora non volevo giocare a tennis, volevo lavorare nella ristorazione, avevo come sogno quello di aprire un hotel mio. Per me stare in cucina o dietro al bar è uno strumento per dare amore, per creare un contatto umano tramite una chiacchierata, rincuorare una persona triste. Mi sentivo così: io tramite la ristorazione davo amore. Questa era la mia vera passione, non il tennis. Ed ho smesso col tennis perché stare in campo era per me impossibile, mi ricordava la mia infanzia ed i tanti momenti difficili per cercare di sopportare mio padre. Poi sono cresciuta, ho capito che posso scegliere per me stessa, dire “no” o “sì” di fronte a tutto. Nessuno deve scegliere per me, sono una persona che può prendere le sue decisioni. Prima non riuscivo a scegliere neanche ad un ristorante se pasta o pizza, perché non mi hanno mai insegnato a scegliere delle cose. Ogni volta mi sentivo dire: “Fai questo, questo, questo e questo”. Questo non è bello per un bambino, non cresce mai in questo modo».

Sei una persona intelligente, avrai pensato a lungo prima di chiudere i rapporti con tuo padre. Come hai affrontato il momento e come ne sei uscita?

«Quando non giocavo più mi sentivo male, ero depressa. In quei due anni lui non mi ha mai chiamata, mai, neppure una volta, invece mi chiamava quando ancora giocavo. Mi dicevai: “Devi fare così, così e così”. Io non ce la facevo più, ho provato per tanto tempo ad avere un padre vero, ad avere un rapporto normale. Non ce l’ho mai fatta, sono arrivata alla fine. Non gliene fregava nulla se nella mia vita tutto andava bene o no, se fossi felice o meno. A lui interessava solo che io vincessi a tennis. Basta. Ancora oggi prova a chiamarmi, mi scrive, mi lascia lettere dove mi alleno però io non le ho mai aperte, mai lette, perché lui vorrebbe solo esserci quando come adesso sto giocando bene sennò se ne frega e non mi considera. Lui vorrebbe esserci per prendersi il merito: “E’ grazie a me che lei sta giocando così, è grazie a me…”. Non è così che funziona. Sfinita, gli ho scritto una lettera: “Grazie, ma non cercarmi più. Ti voglio fuori dalla mia vita, non voglio più parlarti”. Se prova a contattarmi io blocco il numero, se è un nuovo numero blocco anche quello, se viene ai tornei non lo lasciano entrare… Due anni fa se lo avessi visto avrei cercato di fargli male con la racchetta, poi sono passata all’indifferenza totale: fare come se lui non esistesse più».

L’hai più visto di recente?

«Prima di Acapulco è venuto a vedermi mentre mi allenavo. Io l’ho visto, lui ha visto che io l’ho visto però non mi sono mossa. Forse ci sarà rimasto male, io non sono un mostro: so quanto fa male ignorare una persona, però lui per me non è un padre. Non ha mai fatto nulla per poterlo sembrare. Non mi conosce minimamente, non sapeva che il tatuaggio che ho vicino alla mano sinistra me l’ero fatto da quattro anni. Un giorno mi ha urlato contro: “Ma che hai lì? Come mai tua mamma ti ha lasciato fare questo?”. Io gli ho risposto: “E’ da quattro anni che ce l’ho…”. Lui ha continuato: “Ma chi ti ha educata così!”. Io ho vissuto senza un padre, io non ho mai avuto un padre».

Tua madre invece?

«Senza di lei non sarei qui oggi, perché quando avevo deciso di giocare di nuovo non avevo abbastanza soldi. Lei mi ha detto: “Provo ad aiutarti, se riesci a far bene ed a saperti finanziare da sola, bene, sennò proverò fino alla fine a sostenerti. Magari un giorno ti dirò che non potrò più, però sino ad allora sarò al tuo fianco”. La cosa bella è che ora riesco a darle indietro tutto quanto ha speso per me. Senza di lei forse non avrei neppure provato a rimettermi in cammino, non avrei potuto prendere il mio allenatore Dimitri e cominciare a credere in me stessa. Mai».

Che significato ha quest ultimo mese per te nella tua vita?

«Non sono una persona che dice: “La mia vita era terribile, faceva schifo bla bla bla ed adesso invece…”. Ok, la vita che ho avuto era così, ora però sto cercando di fare del mio meglio per essere felice e spero che tutto ciò possa continuare a lungo. Ho scelto le persone che volevo io perché mi seguissero, con cui voglio lavorare tutti i giorni e senza loro non sarei al quarto turno di Indian Wells. Sono molto fiera di aver scelto le giuste persone per me, sono tante che possono dirti “Sono buono bla bla bla”. Ho avuto fortuna ad avere il mio attuale allenatore che mi ha aiutato a diventare la persona che sono oggi».

C’è una frase del tuo passato che colpisce tantissimo: “Il mio talento è la mia rovina”. Ora pensi di poter vedere quel periodo in maniera diversa?

«No, mi ha rovinato. Sono ancora convinta di quello. Tutti si aspettavano chissà cosa da me, facevano continuamente paragoni pesanti. Devono capire che questo, per un bambino che ha quindici anni, è terribile. Sei un bambino, non puoi reggere. Io stessa in quel periodo non capivo nulla della mia vita, venivo catapultata in un mondo con tanti soldi, con i media, dove c’è la pressione, il pubblico… Questo non è normale per la testa di una bambina. Per questo è terribile essere così forte quando sei giovane: non riesci a crescere nella maniera migliore. Forse diventerai un buon giocatore di tennis però secondo me non deve essere questo un obiettivo perché è più importante sentirsi felici in ogni momento della propria vita. Hai solo una vita, non venticinque. Io se sono dieci, venti, trenta, cinquanta del mondo non mi importa. L’importante è essere felice in quello che fai, essere te stesso. A me da piccola mi imponevano di essere qualcuno mentre io volevo essere la piccola Timea che andava a scuola e si divertiva con i propri amici a giocare. Basta. Non volevo nul
la di queste pressioni all’epoca, non è facile vivere così».

 

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