Quale forma ha l’acqua? In verità l’acqua prende la forma che le viene data, perché si sostiene che non ne abbia davvero una tutta sua. Proprio come un liquido, incapace di acquisire una sola forma, il tennis di Jannik Sinner fluisce, si adegua a ogni foggia o situazione. Scorre inesorabile ignorando gli ostacoli e procede […]
Quando cammini per Basilea durante la settimana nella quale si svolge il torneo, vedi Federer ovunque: foto nelle vetrine di gioiellerie, cartelloni pubblicitari, i classici giornaletti metropolitani (malgrado la cittadina non esattamente grande), in TV.
Credi sia normale e non ti stupisci; lo fai invece se torni in un periodo diverso: di Roger Federer, i suoi concittadini e in generale i suoi connazionali, si curano poco. Spieghiamo: gli svizzeri sono un popolo poco propenso al fanatismo –e questo non può che essere un bene per qualunque popolo- ma vivono l’esperienza di avere in casa propria uno dei più grandi sportivi di sempre con assoluta noncuranza; anzi, spesso e volentieri gli risparmiano lodi ma mai critiche.
Nazione di sciatori, quasi sempre Roger è stato superato negli “award” nazionali da personaggi come Cuche, che lui stesso ha spesso idolatrato. Siti e giornali come Blick hanno spesso messo in discussione il ruolo di Mirka, rea di avere una personalità notevole e di essere parte integrante delle scelte di Federer (come se le mogli in generale non lo fossero).
Ma quello che più suscita disapprovazione tra gli elvetici è il controverso rapporto di Roger con la Coppa Davis. Rapporto che non tutti conoscono dalle origini.
Federer debuttò in Davis contro l’Italia, nel 1999, vincendo in quattro set contro Sanguinetti. Lo stesso anno la federazione svizzera decise di sostituire il capitano Mezzadri con Hlasek, nonostante il parere sfavorevole dei giocatori. Grazie anche al suo contratto quinquennale, Hlasek acquistò un potere amministrativo non indifferente; i giocatori, guidati da Rosset, minacciarono di non scendere in campo contro l’Australia, ritirando però alla fine la minaccia. Federer in quel momento non poteva “ribellarsi”, in quanto un accordo firmato con la stessa federazione lo obbligava a partecipare agli incontri di Davis in cambio di un finanziamento nel tour. Dall’anno dopo, l’accordo non era più in essere: alla vigilia delle Olimpiadi di Sidney, nel 2000, Stammbach (che sarebbe poi divenuto presidente dello Swiss Tennis ) chiese a Roger di giocare per la Svizzera nonostante Hlasek, indorandogli la pillola, grazie all’inclusione nel team del suo coach, Peter Lundgren. Federer accettò e mantenne il suo impegno e vinse anche molto. Lui e Hlasek non potrebbero essere più diversi: gioviale, bisognoso di leggerezza e dialogo e indipendenza l’uno, autoritario e chiuso l’altro. Arriva l’aprile del 2001 e la sfida contro la Francia a Neuchatel: Rosset perde una maratona storica contro Clement al quinto, Roger affronta Escude e si deve arrendere al transalpino in quattro set, la Svizzera è sotto 2-0.
Federer si presenta in conferenza stampa, con il volto cupo e pronto a vuotare il sacco: «Con Hlasek le cose non vanno. E’ da un bel po’ che è così e i risultati sono arrivati lo stesso. Ora però siamo arrivati al limite e il campo ne ha risentito; non mi sono sentito libero e supportato là fuori. Vorrei che ci si parlasse e ci si confrontasse, ma con lui non è possibile». Tuona Roger, mostrando un lato fino a quel punto sconosciuto di sé. Il giorno dopo torna in campo comunque insieme a Manta e insieme battono 9-7 al quinto Clement e Pioline. Domenica gioca il primo singolare contro Clement e lo vince: la Svizzera però perde 2-3 a causa della sconfitta di Bastl contro Escude, che arriva dopo un match point per lo svizzero e una decisione arbitrale discutibile. In quel momento Federer comunica alla federazione che, fin quando ci sarà Hlasek in panchina, lui non parteciperà più alla competizione.
A quel punto la federazione, che capisce di avere un campionissimo tra le mani, rescinde il contratto di Hlasek che interrompe così con quattro anni di anticipo la propria collaborazione. Viene chiamato a sostituirlo Peter Carter, ex allenatore australiano di Federer che però lavorava per la federazione svizzera da più di dieci anni.
Da lì in poi tra Federer e la Coppa Davis non sono più state solo rose e fiori: Roger ama l’ambiente di squadra ma nel corso del tempo ha dovuto rinunciarvi anche e soprattutto a causa di priorità diverse, come quella del successo individuale (cos’è il tennis, dopotutto, se non uno sport individuale?). Ci sono state per questo discussioni nella terra dei cantoni e Federer ha sempre ribadito di portare in giro per il mondo il nome della Svizzera, in ogni sua vittoria e prestazione.
Gli hanno dedicato francobolli, targhe e qualche celebrazione: se Federer fosse nato in Brasile –Paese che ha visitato e che lo ha idolatrato lo scorso dicembre- avrebbe qualche statua in giro tra Rio e San Paolo e verrebbero stesi tappeti rossi a ogni suo passaggio; anche in Italia sarebbe un semi-Dio. Ma forse, alla fine, è meglio così. E pure più giusto: la “freddezza” e le critiche hanno sempre spinto lo svizzero, che ama le sue montagne e la tranquillità della nazione natìa, a dare qualcosa in più e a rimanere con i piedi ben saldi a terra.
Ultima diatriba è quella con il Direttore degli Swiss Indoors, che ha visto Federer “minaccioso” nel voler acquistare parte del torneo e ha voluto far saltare un prolungamento del contratto boicottando gli incontri con Roger, che ha poi deciso che vi parteciperà senza alcuna somma, visto che quelle richieste erano secondo Brennwald troppo esose (salvo poi per dispetto versarle nel conto corrente di Nadal).
Gli svizzeri però se lo godano adesso: un domani non molto lontano lo rimpiangeranno. Perché per quanto Cuche e Cancellara siano due grandi sportivi, Federer ha davvero “internazionalizzato” il suo Paese più di ogni altro. E con un’immagine solo positiva, che la Svizzera non ha sempre dato di sé.